Mi inghiotto, mi mastico, mi digerisco, mi spargo. Come polvere di pastelli colorati vengo soffiata via a coprire questa landa desolata in bianco e nero. Asfissiante. Poco incline al compromesso, oltranzista fino al midollo, appena posso divento sorda al suono del dolore e valico. Il confine della noia è assai labile. Spirito libero disseminato in lungo e largo mi consumo e mi rigenero. Nella moltitudine di fuochi fatui e labili rapporti, nichilismo ed egotismo estremi, soffro e ballo, canto e dubito, annichilita e rinata, tristissima e viva, fragile e potentissima, posso ascendere, trionfare, cadere e risorgere, inconsapevole rivoluzione: affermazione del diritto a riempirmi di tutto ciò che posso, sesso, dolcezze, carezze, spinte fortissime, svuotarmi e tornare terreno accogliente e pronto. L'amore, l'infinito miraggio, il sogno che sfugge dalle grinfie dell'indifferenza e della superficie, s'aggrappa agli specchi del tempo perduto. Il tempo che non basta mai. Il tempo felice che non si riesce a fermare. Il tempo. Ballo fuori dal tempo. Senza paura in equilibrio al di sopra del dirupo, sul filo dei difetti, ruotando senza fine. Vortice. Pioggia di meteore. Ferite slabbrate. Aperte per sempre. Disinfettate con l'indifferenza. Gelo fuori. Febbre dentro. Febbre. Eterna febbre.
Il capitano Gino
38 minuti fa