Barney Mayerson si svegliò con un mal di testa fuori dal comune, per scoprire che si trovava in una camera da letto nient'affatto familiare in un appcon nient'affatto familiare. Al suo fianco, con le coperte che le arrivavano fino alle spalle nude e lisce, continuava a dormire una ragazza nient'affatto familiare, che respirava lievemente con la bocca, i capelli una matassa di bianco cotonato.
Si alzò, giù le gambe penzoloni fuori dal grande letto. Si issò a fatica e, nell'atto di grattarsi, si accorse di aver indosso uno strano slip nient'affatto familiare. Un pensiero compiuto o in via di risoluzione riuscì a far capolino nella nebbia fitta che non c'era speranza si diradasse. Come era finito lì? In seguito, quasi sicuramente, si sarebbe fatto largo l'altro, quello importante e serio: chi diavolo era la bambola?
Intanto bisognava adempiere a un bisogno primario, vitale e procedere con lo scarico di tutti i liquidi in eccesso. Sì, facile a dirsi. Dov'era il bagno? A tentoni, scansando tacchi, bottiglie vuote e... maledizione, si morse il labbro a sangue per non urlare a squarciagola. Il suo piede, cornice in pezzi, urto, dolore lancinante e imprecazione, in un tutt'uno gli spalancarono occhi e mente. Una lunga pisciata per cacciar fuori i dubbi e far posto alla coscienza sobria. Fu sull'ultimo getto e successiva scrollatina che credette di ricordare. Gli occhi strizzati in una minuscola fessura come per concentrarsi meglio. Nel muro scrostato sopra il cesso una bella scritta a caratteri cubitali, rosso scarlatto, recitava: puttane e grandi poeti dovrebbero evitarsi - le loro professioni sono pericolosamente simili. Rivelazione abbagliante l'immagine abbastanza chiara: la ragazza che ammirava la sua opera. La sfogliava, se la portava al petto come a proteggerla o farne scudo, faceva per riporla, ma poi ci ripensava. Era nell'angolo più buio della libreria. Lo squarcio ocra che penetrava dal lucernario donava una sfumatura caldissima ai capelli lisci, sottili che le accarezzavano le spalle. Un ciuffo ribelle svolgeva in avanti e si poggiava delicatamente a incorniciarle il profilo, poi si nascondeva nella generosa scollatura, muovendosi a ritmo col suo respiro. Un vertiginoso stacco di gambe. Un abito morbido che la avvolgeva e la disegnava. Sarebbe rimasto lì ad ammirare la ragazza che ammirava la sua opera per ore, per anni, per secoli. Ma, diavolo di un indeciso, bisognava farsi avanti, smetterla una buona volta di giocare al peg solitaire. Quella dama era lì per lui, prossima mossa saltare due o tre pedine ai bordi che attendevano un suo autografo e puntare al centro del tavoliere. Era il giorno in cui avrebbe mangiato. Il suo ideale femminile era lì a un quadrato di mattone da lui. Ora la vedeva bene. Più alta, lo superava di dieci centimetri. Più magra, rientrava nella categoria pesi leggeri. Più scura, un incarnato stupendamente mulatto che cozzava con la chioma chiara. Intorno buio. Si sentiva osservata, sicuro. Se avesse aspettato ancora, si sarebbe fatta notte, possibile. Si voltò, necessario. Il ciuffo rivelò uno squarcio profondo all'altezza dello zigomo sinistro, sipario. La scena si aprì e si blindò. Il palco divenne di entrambi. I sorrisi, uno appena accennato, l'altro accentuato. Le mani, un paio nervoso e umido, l'altro insistente e avvolgente. Occhio verde di una tonalità intensa, ricci grigi e barbetta incolta. Naso affilato e capezzoli appuntiti. Libro sotto il braccio e via verso casa. Da te o da me? Fianco a fianco sull'acciottolato scivoloso. Tre traverse, un incrocio, trecento metri, strisce pedonali, verde, avanti, cancelletto grigio semiaperto, sentierino di ghiaia, chiavi, toppa, portone oro, subito a sinistra, porta bianca, aperta, dentro, chiusa. Lo spinse sul letto e cominciò a sfilare il poco che aveva addosso. In un attimo gli fu sopra e a lui che tentava di metter mano ai bottoni della camicia impedì ogni movimento. Faceva tutto lei. Era o non era una professionista? Ci sapeva fare sì. Tentò più volte di parlarle, di chiederle, di sapere. Era uno sforzo inutile in cui, lo capì, si sarebbe consumato. Rinunciò volentieri. La bocca, la usava, sicuro, ma per tappare la sua, mordere e succhiare. Gli si avvinghiava più stretta, gli bloccava la lingua e introduceva la sua in un vorticoso dentro e fuori che riusciva a provocargli un piacere quasi disumano. Le mani, poi, sapientemente dosavano carezze e strette improvvise come per prelevare e immagazzinare dati, studiare e misurare a millimetri pelle, muscoli, ossa. Giocava bene. Ma, si capiva, non conosceva fatica, regole, né tempo, tesa e disponibile a ricominciare subito dopo ogni amplesso, complice una suadente Janis Joplin che dettava ritmo e resistenza. Unici intervalli concessi tre dita di whiskey senza ghiaccio e canna per due. Quando avesse sorbito l'ultimo goccio, quando l'ultimo tiro, non l'avrebbe ricordato se non nel momento in cui, schiacciato contro il muro, tra il lavandino e la finestra, ormai dissolti i fumi di alcol e droga, non avesse avvertito lancinante e bruciante una deflagrazione all'altezza del basso ventre, ormai bluastro, quasi nero, ricucito alla meglio… Sarebbe rimasto lì ad ammirare l'opera per ore, per anni, per secoli.
Cos'è? Un gioco… esperimento in Lankelot