Non credo più sia un gioco. È sempre stato avviluppato dall'immensità della notte il mio paese. Basta farci l'abitudine. Pulire accuratamente, stare in silenzio e aspettare per vedere dove andremo a parare. Intanto preparo l'ambiente e studio l'atmosfera. Tutto dev'essere perfetto. Ogni cosa al suo posto, non per semplice scenografia, è teatro, che metta a proprio agio, rilassi, distenda. Faccio scendere il livello dello stordimento da modernità, mi dedico all'eliminazione del tabù dell'impurità di moda. Lascio annerire i piatti nel mobiletto da esposizione. Quella patina del tempo che alla luce fioca della tradizione vedo posarsi graduale e crudele sui simboli della mia giovinezza quando tutto era sconveniente, troppi gesti da oscurare, tutti i giorni da censurare… A volte mi chiedo cosa ci sia di male, non si è liberi di far quello che si vuole?
…
Ci soffocavano i lamponi che, bisbigliando,
spiccavi, e il nostro bisbiglio tacque nell’aroma
solo quando con le labbra colsi dal tuo palmo
i frutti che il profumo del tuo corpo intrideva.
Divennero i lamponi strumento di carezze
le prime, le più stupite, che nel cielo intero
altre ebbrezze non sanno, che non siano esse stesse,
e nella propria stranezza vogliono ripetersi.
Poi non so, com’è stato, né in che palpebrare,
hai sfiorato col labbro la mia fronte sudata,
io ti ho preso le mani - me le hai date, raccolta,
in quel persistere intorno, denso, dei lamponi.
Bolesław Leśmian
Possibile che si trovi così imbarazzante assaporare fino in fondo, soffermarsi sui sommi piaceri? Tu lucidi, io distribuisco zone d'antichità. Dietro quel paravento scorgo la tua sagoma che striscia, si avvolge, si allunga in maniera bizzarra, ma raffinatissima, verso i cuscini posizionati per terra sul nostro giaciglio e attende, mi chiama.
Per cominciare, spegniamo le luci. Poi si vedrà.