domenica 30 dicembre 2012

al di là



Se esistesse la formula per rendere un fallimento un successo senza uguali, io sicuramente non farei nulla per appropriarmene. La magia a cui ambisco è un'altra: quella silenziosa ed emarginata dalla storia di tutti i giorni, quel corollario che sembra essersi aggiunto all'ultimo momento. È la scrittura che riesce ad ammaliarmi sin dal primo contatto con la pagina a caso di un libro pescato per caso nella libreria precipitata all'angolo della viuzza buia nelle mie ondivaghe passeggiate verso casa quella che riesce a rapirmi e a guadagnare l'attenzione delle mie dita e dei miei sguardi. Mantiene credibilità il racconto di questa avventurosa esperienza? Non so, ma così è stato. Sempre. Difficile da immaginare per tutti tranne che per me. Io mi lascio forgiare e plasmare dalle prime opere; quanto più son coinvolgenti e avvolgenti tanto più me ne faccio commuovere. Mi rinfranca la fantasia rintracciata, il dolore delicatamente riposto, ma mai represso, la facilità dell'intenzione e la profondità della dichiarazione: facile, non elementare né banale. La realtà ha un sapore mistico quando rappresentata attraverso una dimensione invisibile, sensoriale. Mi cattura, mi seduce. Sì. E io lo ricopio sfumandone il margine su un foglio che mi rimarrà amico anche quando vi avrò apportato mille cancellature, anche quando l'avrò reso opaco, scarabocchio bizzarro, sprecato…




E nei momenti in cui non guardavo sentivo gli altri parlare ai loro cari in terra, come me, senza riuscirci, temo: esortazioni e istruzioni ai piccoli, un amare e desiderare i compagni di vita, ma tutto a senso unico, una carta a un solo lato che nessuno avrebbe mai firmato.
Alice Sebold - Amabili resti


domenica 23 dicembre 2012

inosservati



For Carnation - oh Brian McMahan…

Ora so cos'è l'invidia. Comincia a rodere dentro e realizza in breve una voragine. Non la visualizzerei in verde. È densa di ogni colore: passa dal nero al blu oltremare, si stempera in un grigio opaco fino ad assumere tonalità rosso sangue. Mi si imprime nel bianco dell'indifferenza e si modella a zig zag a mo' di frequenza elettronica e incide, penetra, trepida, s'estende a macchia d'olio, gialla,  s'invola in frequenze talmente elevate da risultare rarefatte e poi sprofonda, viola, cupa, funzionale all'angoscia e alla trama indolente dei miei stati d'animo. È la parabola più breve che si possa registrare, ma supera la narcolessia emotiva di cui son preda, è un attimo, filtra la noia, sempre pronta alla conquista degli spazi incustoditi e m'induce alla reazione. Novità. Circolari. Ossessiva. Crescendo. Pathos. S'issa in precario equilibrio, fragile assai, dà uno sguardo intorno, finché arrivi l'assenza di elementi riconoscibili, nella non struttura, trasfigurata e priva di consistenza, si ripiega sul proprio lavoro, svolto per sottrazione e tende al confine silenzioso: quello dell'essenza del suono e del segno. La mia multicolore linea - l'osservare l'altrui - mi spinge avanti a riscoprire la sensibilità minimale, lenta, scheletrica, stilizzata, intima ombra, repressa, ma palese; è una cifra personale, quella aderente alle mie atmosfere notturne tutte incentrate a creare sfumature radiali, partono dal grado zero e procedono per strati espressivi ed emozionali, ad ipnotizzare e coinvolgere. Potrebbe sembrare un movimento impercettibile, appena accennato, ed è proprio il distacco, l'idea evanescente, la leggera pennellata, la traccia, la firma che distingue e riconosce, riscopre e valorizza nella sempre più affollata galassia di forme ed espressioni vane, tutte identiche e sfoggiate, nessuna unica, nessuna prezioso scrigno di promesse…


sabato 15 dicembre 2012

equi voci



Vivo a puntate. Ognuna della durata di una decina d'anni. La mia vita è un feilleuton. Ha tutta la forma espressiva della storia proiettata su grande schermo e la ragione d'essere della telenovela in tv e perciò ammalia, divulga, fidelizza, ma allo stesso tempo muta continuamente nel tempo. Sono una volubile seriale. Le vittime: i rapporti, le convenzioni, l'abitudine. C'è un'incredibile proliferazione narrativa, la reiterazione delle soluzioni narrative; coinvolgono e travolgono… fors'anche la narratrice. Cerca di sottrarsi alle logiche del suo lavoro e a tratti vi riesce perché fondamentale caratteristica sua è l'immagine, la fantasia il suo primario elemento comunicativo. Lei in primo piano, lei in secondo e terzo: una serie di quadri in movimento, piani di sequenza mai statici, tante inquadrature differenti fanno l'opera proteiforme che racchiude e si apre ad ogni parola, ad ogni sguardo, in follia, in delirio, su passione, su ardore. Sono innamoramento a prima vista e profondità di campo; è rigore inossidabile e scioglimento costante; sei innocenza e calcolo. Chi sarebbe il regista di tale mirabile azione? Ma io medesima, chi altri potrebbe mai muovere le inquadrature così complesse, chi trasformare di continuo le identità, raccontare le storie dentro altre storie, rivelare e celare, ricostruire e collassare… Le radici erano già chiaramente vitali e si rafforzavano ad ogni deliquio, ad ogni temperatura sopra i 38 gradi. Prendevano vita tra le lenzuola umide, si nutrivano della miracolosa fluidità dei miei pensieri e tali erano i caratteri e i soggetti che si ramificavano anche a mia insaputa, le vicende si intricavano consapevoli o meno. Grandi arti feci delle mie maschere, tutte sognate, tutte ipotetiche, cadevano e cadono, rivelano le ombre e svelano le luci del mio personale teatrino. Vertigine? Può darsi. Batter di ciglia fugace che muove le marionette ignare e complici, scivolano e si dissolvono come lacrime di gioia e commozione.

sabato 8 dicembre 2012

due mondi…


Prima che si verifichi un intralcio, per evitare che si sieda in prima fila la guastatrice di turno, che tutto rende banale e fastidioso, metto a punto, svolgo e dipano l'intreccio della trama. Voglio che tutto sia perfetto… il dramma, il conflitto dovrebbero descrivere senza creare distacco, far pensare senza, però, far annoiare. È un martellare continuo che non dà tregua. Mi ha condizionato per mesi questa storia. Inesorabile. Il parto è stato liberatorio così come il partire di uno dei protagonisti raccontati.
Dunque sei morto
poi mi sei apparso
assorto nella luce della finestra
e adesso già ti allontani provando
la seconda morte e poi la terza.
Verrà forse una vita nuova
ed io sono ancora vivo.
Ma per quanto? (Ragazzi a vita, Renzo Paris)
Dal mio punto di vista, ch'è complesso come la vita interiore spontaneamente s'impone e prende posto dentro ogni essere umano, c'è molto odio, paura, rancore… così tanto che comincio a pensare che dappertutto non vi sia che veleno, menzogna e incomprensione. È il mio rifugio, la mia tana in essa mi stempero e riprendo forza, trovo solitudine e riscossa; da essa attraverso un dettagliato e reale spiraglio oso e scorro via libero.


Gli uomini sono un vero mistero per loro stessi (Akira Kurosawa).
Soprattutto nei momenti di disorientamento, quando a fronte dei frammenti sparsi di un'epoca in caduta libera andrebbero contrapposti pilastri per l'avvenire, quando è forte l'esigenza di porre fine al putrescente oggi e slanciarsi verso un domani luminoso, che si avverte potente la necessità di riascoltare la storia, di risentirne voce e monito, non tanto quella maiuscola, quanto tutti i mille rivoli particolari, le voci singole che declinano lo scorrere del tempo condiviso nei travagli emotivi individuali, vitali e carichi, quelli che ci raggiungono alla schiena e incidono violentemente sulla nostra sensibilità sfocata e attutita.
Mi contraddico, forse? Ebbene mi contraddico. Sono vasto, contengo moltitudini (Walt Whitman)
Le narrazioni sono due, in successione da flashback di vite, avvinghiate e separate, accomunate dal pericolo, dalla follia, dall'instabilità, dalla solitudine e dal vagabondaggio. Due esistenze in cui regna il disordine di una sensibilità fragile, dall'inadeguatezza di esseri unici. La narrazione doppia in prima persona salva episodi del passato dall'oblio e si trasforma in chicchi di sale da gettare sulle ferite anestetizzate dell'oggi. Sono voci intercettate dalla storia che spazzano la nebbia fitta della bulimia mediatica, dell'antipolitica imperanti e cercano di intessere un dialogo forte, attivo, partecipato. I toni modulati e modellati da due stili diversi esplicitano il chiaro attrito tra due pensieri opposti, due mondi distanti, ma aprono una sola finestra sulle singole storie come su interi anni, permettendo alla memoria di fare da trait d'union… necessità e cura perché il tempo d'allora venga a mordere il presente, a scuoterlo dalla sua fissità, a salvarci.

Se solo tu fossi qui, e non in un luogo sconosciuto della mia mente, che un tempo era e adesso non è più, potrei voltarmi indietro ad osservare lo stupore dei tuoi occhi, che guardano attraverso questa polvere di pioggia che ora m'allontana dal tuo cercarmi a vuoto nel silenzio di certe mattinate, che lì da te sono girate verso il mare e qui si perdono di vista in un istante… (Stefano Tassinari)

venerdì 30 novembre 2012

tempo al tempo

Siamo solo segni o sindromi di un qualche grande collasso, e le nostre morti non avranno più senso di quelle di una mosca estiva in una stanza vuota.



Li vedo mentre camminano l'uno al fianco dell'altra. Sono due personaggini, eclettici e spietati s'abbeverano l'un all'altra, affamati di sé e del mondo e discutono delle loro visioni e della realtà che li circonda e che non li rappresenta, tutti presi da un'ansia che brucia e li divora, lontani anni luce dal materiale e vicini nell'ideale, nella dimensione immaginaria. 'Son solo parole, è ora di trovar lavoro'. Sì come no, mangiare, tasse, dormire, far l'amore, bere, sopravvivere. No, grazie. E giù ancora parole dilaganti, tormentati dialoghi, dilanianti chiacchiere, insulti e riflessioni, scherzi e discussioni appassionate su film, dischi e libri. Ironia e sete di conoscenza. Passi insicuri al limite di un baratro, perditempo incalliti loro due, lo sfiorano, lo rubano e lo stroncano, ci sprofondano e risalgono e s'offrono come bocche vuote e fameliche. 'Secondo me siamo morti e non lo sappiamo'. No, siamo vivi, noi.

domenica 25 novembre 2012

reminder


Quando sento la prima nota, capisco, è il mio strumento preferito. Sono alle prese con la me che distilla lenta emozione e brevi certezze, gemiti accennati e starnuti sommessi, quelli che temi saranno fragorosi e invece si percepiscono appena. Il risultato si affida a una specialista dell'interdetto, dell'inconsapevole, dell'inconsueto e lei si cimenta… perché sente di non aver nulla da perdere, nulla da richiedere in cambio, matura, ma ancora giovane, versatile e pochissimo impegnata. Ha rinviato troppe volte, trascorso un periodo tribolato, e finalmente è giunta al debutto ufficiale raccogliendo frammenti e segnali, una bella struttura, articolata e varia, quasi completa: una commistione tra amori, dolore, morte, avventura prende vita e germoglia sotto la pelle spessa dell'apparente indifferenza. È una grande cicatrice che fa da schermo alla lunga scia di sentimenti potenti che non vedono l'ora di incidere e fuoriuscire. Non so se addentrarmici per primo, tentare di riaccompagnarla quando troppo sbronza. Mi converrà tenerla in equilibrio sulla perfetta alternanza tra confidenza complice e segreto dialogo? Noi due, intimo corpo a corpo, scricchiolii controllati, ostacoli evitati, sempre sull'orlo del dramma totale, evitiamo l'incidente finale e scegliamo vie di fuga sempre diverse, capiamo d'essere forti e folli insieme, ma altrettanto impeccabili se soli. Devo ricordarmene quando, fuori dal tempo, in vista dell'uscita di scena, l'arrangiamento e la trama armonica, imprevedibili e stimolanti, mi riporteranno a rileggere e a musicare nuovamente questa egregia composizione: l'assolo cristallino, meritevole d'ascolto, abile nel decapitare il torbido e capace di dissolvere l'inquietudine.

Con il passare del tempo, la minima traccia dava vita alle più esagerate aspettative… Oppure, in quegli improvvisi, attutiti silenzi che a volte calano in montagna, quando il vento muore e tutto resta sospeso in una quiete cristallina, capitava che qualcuno sentisse il pulsare delle proprie vene e lo scambiasse per il battito del cuore di un altro.
Charles D'Ambrosio 'Jacinta - Il suo vero nome'

lunedì 19 novembre 2012

nessuna tregua


Durante i raid israeliani sono rimasti uccisi più di dieci bambini. Che almeno si sono risparmiati un'infanzia atroce.




Le sirene hanno suonato in tutta Tel Aviv. Oddio, speriamo non abbiano svegliato nessuno!

Due esplosioni si sono udite a Tel Aviv. Netanyahu: "Scusate, è la mia suoneria".

Le forze israeliane hanno colpito 120 obiettivi all'interno della Striscia. Che è diventata una Linea Tratteggiata.

Come fanno due, diversissimi, complicati, orgogliosi a trovarsi e rimanere amici nonostante la profondità della voragine che li separa? Necessaria l'esperienza, fondamentale la spontaneità. Uno intrattiene, l'altro trattiene. Colonna sonora condivisione, trama battere e levare. Sulla linea d'onda le loro parole si inseriscono e suonano alla perfezione sulle cinque righe dello spartito e creano la comune armonia. C'è chi la esegue in maniera rigorosa, chi ne fa uno spettacolo divertente. La musica li guida, li unisce e li contrappone lasciando sempre lo spazio e l'accordo ideali, quelli in cui ci si muove liberamente e rispettosi, consapevoli e attenti, mandano in scena ogni giorno una sinfonia mirabile. Accelerano, si rilassano, arpeggiano su quelle corde, disegnano un vuoto in cui si perde volentieri, gli scenari avvolgono e ipnotizzano, amplificano il dolore e la felicità fino ad apici impensabili. C'è un'invenzione che mantenga quella visione mistica? C'è il momento dell'arcano risalire, dello slancio e quello della distorsione, del truce avvitamento, del ricadere. Ritmo che sostiene collassa e precipita. Non penso che riuscirei a perdonarmi una simile debolezza, l'assillo della conclusione e l'insorgenza dell'ombra quotidiana mi inducono al paradosso e all'ambiguo, tutta protesa alla vitale danza orgiastica, congiunta e sposata da una cifra romantica, non da un cerchio dorato. Il nostro è un modulare opposti e paradigmi, nei quali mi istruisco e mi educo proprio perché vorrei che la pausa, quella che rimane lassù, schietta frattura e coloritura intensa, abbagliante, non definisca, non racchiuda. Non son fatta per la pace.


Un cameraman palestinese ha perso una gamba. Venendo promosso a "Telecamera".

Trovo allucinante che si parli tanto dello scontro fra israeliani e palestinesi, e non dell'accorpamento delle province di Pisa e Livorno.

Ban-Ki-Moon lancia un appello contro le violenze a Gaza. 3 Morti.



Non so se ho più cicatrici sul corpo o nello spirito.

Frasi pronunciate da un tizio con cui vado molto d'accordo, e ancora non ci siam visti chissà poi..., scrive su Spinoza e sul suo spinoso (e per questo motivo) adorabile blog, Dan, per gli amici 11, anche su Twitter.

domenica 11 novembre 2012

verità per verità

Per me, preghiera, è stare in silenzio in un bosco. Stare Silenzio Bosco. Tutto ciò che serve, quel che non è vitale. Io coinvolta nella traiettoria confusa e lui ombroso e implacabile seduttore mi irretisce, mi incanta. La traccia apre il percorso, segna i nuovi confini del sentire rumori sparsi sul sottofondo, dell'esplorare spazi incontaminati che lasciano un vuoto incolmabile fatto di strazianti linee di pianoforte e tentano di riempirlo con distese di fiati respirati e soffiati nell'oscurità densa e abbondante. Sono un'infiltrata, inserita nel flusso, s'agita e m'attraversa come un brivido elettronico: sublime e brutale elemento di congiunzione, rivelazione dell'esistenza d'innesti tra pathos sanguinante e fredda determinazione al minimalismo, a tratti senza futuro. Intro, svolgimento, turbine. La giostra dai colori offuscati sfrutta la forza della danza delirante, sciamanica, scossa e quieta a intervalli irregolari guidata dalla musica degli oggetti. Calpesto, folto e pieno, e sembra che non lasci segno la mia suola. Un lampo attraversa il fitto fogliame e mi colpisce, anima il mio battito, spinge fino a sconvolgere l'intero sistema nervoso, mi lascio trasportare, dispersa, lo lascio fare, confusa, sempre più ammaliata, lo faccio insinuare violento. Sono plastica da modellare sotto il suo tocco divino. In lui cerco rifugio, a lui ribadisco le ragioni della mia inesorabile resa. Implode il moto fino a scemare in tintinnio tenue e leggera flessione, declino inesorabile. Lo sguardo rivolto all'algida miscela che paralizza parzialmente spirito e corpo e mani a stringere quel punto minuscolo, l'ordine della bellezza, i segreti dell'universo… declino, accoglie, recita piano who is Kate?

Frase iniziale Mario Rigoni Stern
Passi tratti da L'ultima amante di Hachiko - Banana Yoshimoto

lunedì 29 ottobre 2012

chiodo fisso

Chiude fremente il libro dei re e lo scaraventa lontano… avevo dei dubbi, ma ora sono sicuro non terminerò questi maledetti studi e non farò l'esame. Ha oscillato per mesi su questa pericolosa decisione, faccio il salto finale su questo enorme buco nero, dimentico di tutte le promesse, i giuramenti; probabile che si cacci in altri guai, ma dico e faccio basta. Profeta del mio futuro. Infedele protagonista di un tempo indefinito. A volte sente d'essere solo un personaggio, gli altri gli girano intorno, deridendolo e additandolo, gli ricordano, sempre, che le sue battute sono frammentarie, poche, sussurrate, pronunciate a malapena o non ricordate per nulla. Qualche riga nelle infinite pagine bianche, pochissimi secondi per dire la mia.
Con ironia, certo, ché è brutto piangersi addosso. E già nel mio immaginario non riesco a intravedere uno spiraglio, figuriamoci l'impaccio delle lacrime, lo spreco dei singhiozzi… bisogna risparmiare su tutto, anche sulle emozioni del mondo che sta a sentire: l'unica aspirazione è sopravvivere decorosamente e togliersi uno sfizio, qualsiasi, l'importante via di fuga. E invece non c'è scampo: nessuna dignità, nessuna forza di reazione, disponibili, come si è, ad accettare qualsiasi ruolo e l'unica sacrosanta voglia di cercare svago a tempo indeterminato come per tratteggiare rabbiosi un'ipotetica, arbitraria rivalsa contro lo sfruttamento, i ricatti, la frustrazione, la necessità, le furbate criminali. Travolto dalla vertigine delle tante telefonate da fare, degli appuntamenti da prendere, delle dimostrazioni, delle convinzioni, dei giochi, dei sorrisi, delle firme, ha quasi dimenticato la sensazione di appartenenza, di aderenza a un progetto, a un sogno, a una fantasia, preso com'è dal parossismo quotidiano di una vita ammalata, inutile, persa, precaria…




… vorrebbe avere tanto un passato tragico: giustificherebbe il suo presente.
Vanni Santori



domenica 21 ottobre 2012

ossessi


Ho sempre preferito i sussurri, i non detti, gli sguardi traslucidi, le espressioni trasparenti, ma non posso esimermi dall'amare anche i rulli di batteria, le sferraglianti chitarre, le percussioni, i synth ammalianti.. i pensieri sono elettricità diffuse come un intero popolo che si muove e vaga, attraversa terre lontane da quella originaria, a bordo di carri trainati da stanche giumente, in piedi in vagoni puzzolenti, su mezzi di fortuna, in barche malandate solca mari amici e oceani crudeli: una fiumana di genti e pagine che scorrono insieme e si dividono in rivoli più piccoli: radici, sangue, capelli, dita.
Rimango qui a contemplarle o mi unisco a loro, fondendomi e rifondandomi senza filtri e approcci preconfezionati. E' un continuo scambio alla pari il mio con i viaggi nel tempo e nello spazio, in cui i voli pindarici si imbattono in flussi migratori di immagini rutilanti, e può essere un impatto violento, lisergico o un abbraccio fraterno, dolcissimo. Fa sempre l'effetto di un carosello di sensazioni mai riconducibili al raziocinio, traballanti, elastiche come quello yo-yo che sfilo sempre dalle tasche della memoria. Serviva a tenere viva la me aderente al contingente e la me grottesca. E' un cocktail a cui non so rinunciare, che voglio riversare continuamente nei rapporti instaurati e da instaurare. Gran fattona, ma la adoro.



Non è una porta normale, piuttosto direi un portone a un solo battente, e, inoltre, di normale qui non c'è proprio nulla.
Patrik Ourednik



domenica 14 ottobre 2012

a quiet place

Quante volte moriamo l'uno nell'altro,
nell'umida caverna vaginale,
di quella morte che è dolce più del sonno:
la quiete dei sensi soddisfatta.
Carlos Drummond De Andrade



Intromissione.. nessuno gli dà il permesso e quello s'è già accomodato, sprofondato nella poltrona e piedi sul tavolino. Non sono fissato coll'ordine, ma educazione vuole che mai mi sia sognato di entrare in casa altrui, piazzarmi così e nemmeno essermi presentato. Si chiama colpo di fulmine. Puoi chiamarlo come diavolo vuoi, ma già ho voglia di scaraventarlo fuori a calci in culo.
Avvicinamento: ha spostato prima un piede poi l'altro, s'è seduto composto, diciamo, e ha cominciato a parlarmi con tono suadente, con tecnica ammaliatrice. Si chiamano espedienti e io lo lascio fare. Ci sa fare, sì.
Intreccio.. di mani, gambe e gole, schizofrenie, magici momenti di estaticità, miscela sempre interessante, dal sapore familiare e allo stesso tempo esotica. Si suol definire colpire nel segno. E io spingo quel dettaglio, stando attento a rifuggire stilemi e stereotipi, muffa stantia e abuso di abitudine, lo spingo verso il salto finale da elemento dentro l'altro elemento portante della ballata: il ritmo. Sento gli ultimi singulti, al limite, poco prima della resa ultima, vischiosa, contorta.
Delusione: morte inaspettata. Non lo puoi rimettere sù. Ne uscirebbe un suono rotto, sguaiato. È il compendio soave, forse troppo breve, ma umanamente riconoscibile. Si chiama orgasmo. Chi lo sfoggia dilunga solo, ma non gode appieno. Io preferisco un'enfasi minimale. Mia imperfetta perfezione. Ramificazione alla cui sommità prelevare, gelosa, curiosa, personali sorprese, dolci rivelazioni. I detrattori zittiti. Gli inguaribili pessimisti invitati al prossimo.


venerdì 5 ottobre 2012

vinta



Morirò di libri. Mi schiacceranno come un cartoncino tra le loro pagine. Uno di quei segni che si lasciano a memoria dell'ultimo periodo letto, dell'ultima immagine evocata. Starò lì dopo aver cercato di risollevare quell'epica voce, inutile sforzo, e ritarderò più a lungo possibile la lacrima della sconfitta, la piega della bocca in basso: il ritratto della resa, ferma l'attimo di una posa, una compostezza forzata. L'idea che una delle passioni più grandi della vita ci costringa all'angolo, ci schiacci al quotidiano confronto con la realtà dura e l'inconsistente forza immaginativa è un sussurro, un grido soffocato. Ripesco quella fotografia in bianco e nero, sgualcita ai bordi, divisa al centro da una piega dispettosa che colpisce i volti e li rende irriconoscibili.
Con tocco intimista riprendo le fila, ricostruisco la vicenda, riempio di colore quegli occhi, restituisco luce alle loro esistenze, suono alle loro parole. Hanno più il sapore del sogno, non essendo più vivi, risultano esiliati dal presente, lontani dalla terra a cui appartenevano, legati solo alla carta lucida su cui sono impressi.. ma io ne sento vivi l'orgoglio, il temperamento e l'equilibrio e per essi nutro rispetto, li mantengo integri e li salvo dall'incuria e dall'amnesia. Non mi pare più nemmeno tanto duro e triste rimanere qui, in mezzo alla folla di personaggi, tra preghiere, rabbia e tenerezza; non sarà un demerito far parte della storia collettiva ed essere raccontata e riletta a bassa voce, sottolineata e ripassata, raccontata e testimoniata, riassunta e interpretata.
Son tolta d'imbarazzo: annullata insieme a loro, arricchita confluisco nell'enorme progetto di nemesi fin nei più remoti lembi, a render giustizia delle deportazioni e delle sconfitte, delle cancellazioni e delle differenze evidenziate, delle violenze aberranti e delle umanità ignorate. La miglior vendetta sta nell'ascoltare, sedersi e ascoltare.

Vinti che si mostrarono deboli, o che scelsero loro stessi di chiamarsi vinti, poiché quel che volevano conquistare non apparteneva a questo mondo.
Varujan Vosganian

venerdì 28 settembre 2012

dell'aria che ti mantiene e le catene



Il mio volto mi fa paura, la maschera mi fa ancora più terrore. Finale straziante di favola sinistra. Diciamo che i miei occhi han sempre visto quei confini, ma li hanno sempre nascosti nei solchi, diventati cicatrici, chiare, indurite. Stratificate immagini sotto pelle. Un deposito che non ha valore ché spinto a sommarsi in maniera incoerente non fa che rendere più poveri, più soli, schiavi dell'immagine, vecchi nelle proprie fotografie, disgustosi nell'apparenza, sempre più lontani dalla realtà, sempre meno conformi alla forma… vera. I miei occhi non sono vetro: stupiti e separati dal corpo impagliato, si dibattono, vorrebbero scucirlo, venirne fuori. Simboli e segni potrebbero spavaldamente evidenziare la bruttezza, separarsi dalla confusione e venire a galla illuminando e muovendo l'originale visione. Ma quella foga diventa ossessione: che non si perda in movimenti inutili e, esaurito ed esausto, non si astragga ancor più, balbettante e poco funzionale, intimo, onanista discorso.

titolo da 'La piel que habito' di Pedro Almodovar
passo iniziale da 'Les yeux sans visage' di Georges Franju, 1959



in immagini sottospecie i Sallusti, le Porcherini

domenica 16 settembre 2012

interplay



Ben poca cosa, ben poca cosa. Rare occasioni di conoscenza son riuscite a creare uno stretto legame di appartenenza affettiva e profonda identificazione empatica come l'ultima capitatami: una di quelle esperienze che hai fatto tanto per evitare e poi, quasi per caso, sicuramente per volontà altrui, ti sciolgono un nodo che sapevi di portare legato tra gola e nuca, ma che non avresti mai osato sperare che lo straniero sapesse cercare, trovare e districare. Il silenzio soffocato si sposta come un grumo indigeribile, si nutre e si incarna e poi esplode in un urlo amplificato e gracchio come solo attraverso un megafono potrebbe essere. Quel tramite è una sorpresa, un mezzo scovato, un sussurro agro, un consiglio dimenticato, sepolto sotto i cartoni dell'anima che l'anima non sposta non ordina perché non diventi chiaro e preciso il confine mai superato, da sempre evitato, accuratamente nascosto. Ma la linea del fuorigioco è ricomparsa, appena tratteggiata, ma è lì, e ci son finita di faccia, in bocca gesso, terra e sintetico, sputare fuori e rimettersi in gioco. Problema: dove attingere e quanto preservare. Due dubbi cristallizzati nella realtà in cui vivo e in essa talmente stratificati che non riuscirei a separarli nemmeno a picconate. Soluzione. Svestire i panni consueti e indossare la verità esistenziale libera dalle folle di maschere mistificanti e traditrici e dai conformismi facili e menzogneri. Non faccio altro che rivolgere fatwe deliranti ed elargire stoccate mordaci. Sembrano sortire nessun risultato, inconsistenti e deboli come la mia voglia di rintracciare l'ineluttabile ideale tragico e di ricucirlo in ennesima retorica illusione. Perenne insofferente che inchioda e schiaccia al muro le promesse non mantenute destinata a una esistenza scissa e incoerente, ma ribelle e combattuta, eternamente fuori luogo, vibrante ed estatica imperfezione, due entità che proseguono urtandosi, incrociandosi, scontrandosi, come uno sbuffo continuo e rumoroso, una danza impazzita improvvisata in mezzo alla moltitudine annoiata anonima fredda, impigliata nelle pieghe dell'indifferenza e chiusa nella pesante collezione dei simili, dei modelli. La strada è libera, han fatto effetto le partenze intelligenti e io mi incammino, o almeno così ricordo. Rimarrai sola. Lo sono già.

Non siamo che poveri peccatori, credo, e tutto ciò che abbiamo e tutto ciò che conosciamo e amiamo e ricordiamo è esposto alla polvere e alla ruggine.

J. Cheever 


foto Mira - Romeo and Juliet, William Shakespeare, By any other name theatre, University of East Anglia - Aia di Carlo Formigoni, settembre 2012

giovedì 2 agosto 2012

fumottaggio fine





Son sempre stata una mangialibri. Ne ho divorati a migliaia: alcuni nelle ore di viaggio quando riuscivo a non farmi assalire dal mal di pancia, altri seduta per terra negli intervalli tra una lezione e l'altra quando cercavo di non farmi rapire dalla voglia di girovagare senza meta, ma i più belli in assoluto li ho letti in cima a un albero quand'ero poco che settenne, li rubavo ai miei cugini e, di nascosto, celata agli occhi indiscreti e troppo moralisti degli adulti, sfogliavo e mi nutrivo di parole, e di disegni. Sì, perché quelli mi hanno conquistata subito, anzi ho imparato a decifrar le lettere nelle nuvolette (baloons) prima di varcare la soglia della mia prima classe alle elementari. Ora ci ritorno, anche se non li ho mai abbandonati. Ho pensato seriamente di frequentare una scuola di fumetto, ma poi, chissà se ho sbagliato, ho frequentato il corso di comunicazione, immaginando che fosse più completo, sognando che avrei dato una mano di freschezza al lavoro del mio fratello maggiore, gettando le basi per la costituzione di uno studio serio, professionale, creativo. I sogni si son tramutati, ben presto, in illusioni, quelle in delusioni. Le strisce si son confuse, i riquadri han assunto forme strane, irregolari, posizioni scostanti, e il senso della storia è quanto mai obliquo, non lo si segue più se non rischiando di capitombolare giù, divorati dal buio.. era il passaggio più complicato nelle mie illustrazioni, riempimenti di matita morbida, da affilare di continuo, anche i mozziconi tenuti con l'indice e il pollice umidi e luridi, o secchi e squamosi. Ma il foglio non ha mai corso il rischio di macchiarsi. E' rimasto candido, pronto ad accogliere altri sviluppi, altre opzioni, un'altra via d'uscita. Ragazzi io torno a immergermi in quelli: d'estate mi riprende la spossatezza, il distacco da quello che in nove mesi corrisponde a progetti di vita e lavoro, a desideri inespressi e rapporti congelati. Quando tutto dovrebbe sciogliersi io mi riposo, mi perdo, mi apro e decanto, mi lascio andare come al cospetto della tomba di un caro, ma chi dei due sia morto non si comprende: quel divino abbandono con dentro l'ombra. Sì, lo ricordo ancora, un bel libro, lo riprendo con piacere: il senso dell'inesistenza, dell'immobilità, del ticchettio vuoto delle lancette di nessun orologio. Guardali, sono felici, sbadigliano.


Passi di Dino Buzzati Poema a fumetti





ci si rilegge..

mercoledì 25 luglio 2012

low profile

Musica






Ho sempre creduto che dire chiaramente una cosa senza peli sulla lingua potesse arrecare offesa. Ma cosa vai a pensare. Bisogna dirle le cose, a scanso di equivoci. A volte mi guardo le mani. Temo che siano diventate foglie. Parlo, ma non mi si capisce. Dico piuttosto… e mi viene risposto che! Piuttosto che? Una pentola in ebollizione. Ecco cosa sono diventato. Un vegetale, simpatico, burlone, ma sempre vegetale. Assumo sempre più l'aspetto e il comportamento di una vecchietta arcigna, cinica e intrattabile. Umore acido. Solo, grotta delle proprie ossa. Sprezzante nei confronti dei più giovani, figli di una società incomprensibile, inconcepibile, insopportabile, degna di dileggio, cazzo significa? disprezzo. Insipida gioventù, non è in grado nemmeno di sfogliare un vocabolario. Rammolliti. Mi ci imbatto per sbaglio, perché, il più delle volte, nutro nei loro confronti una sana e consapevole.. indifferenza, ma quando capita, elenco in maniera maniacale tutta la nomenclatura botanica, i miei amati esemplari, nomi che enuncio con una tale gioia, attendo con ansia i loro enormi sbadigli e le loro scuse affrettate. C'è una grande voragine alle loro spalle. Per la furia di interrompere la conversazione non se ne avvedono minimamente. Godo. Non vorrei altro se non che venissero inghiottiti dalle stesse sabbie mobili in cui sprofondano, giorno dopo giorno; si divincolano, si agitano, come se non avessero mai letto nemmeno un semplice Tex Willer, e quel ch'è peggio chiedono aiuto a chi? A me. Potrei afferrare la mano, l'intero braccio o preferire la testa. Mi son sgraditi, ma ci si deve convincere: il nutrimento della mente è fondamentale e tutte le esperienze sono indispensabili. Nonostante cerchi di opporre resistenza risulto vinto dalla sete di sapere e roso dalla curiosità. Isolato sì, ma non stupido, né inerme. Carnivoro per scelta. Drosera Rotundifolia.

La solitudine è una cosa terribile, perché lascia che l'immaginazione dipinga fin nei particolari quel che forse non andrebbe espresso mai.

Patrick McGrath

sabato 21 luglio 2012

amaro



Il destino o cosa per esso. Sembra una catena di montaggio, in una grande fabbrica di giocattoli, per una grande multinazionale, fra tanti esemplari rotti, da sostituire, da riparare, da buttare… la tendenza è quella: guardi, li studi, prendi una decisione, fai la scelta. Obbligata, legata, condizionata. E se ci fosse stato un errore di valutazione? Pazienza. Il cuore lo vai a ripescare ogni mattina, lo porti al lavoro con te, o ci fai colazione e lo mandi altrove. Le convenzioni, le responsabilità, i codici, l'unione, le apparenze. Il sapore è quello, sempre uguale, lascia indifferenti o sacrifica in maniera ineluttabile, arrugginisce addosso, sporca e stanca. Avrò il coraggio di cancellarne le tracce, avrò la forza per guardarmi dentro e sovvertire, rivoltare, smacchiare? Fragile, rotta, volubile. Cerco di scardinare i legami, strappo le catene, incido forte e mi libero della cornice dorata che ha delimitato le passioni, soffocato le speranze, spento i desideri più ardenti e ha pesato sul muro, crepandolo. Sconfino, svuotata, leggera.

Sporchi egoisti! Sono io che voglio vivere, io, io. Sono giovane, io. Mi derubano, si prendono la mia parte di felicità sulla terra.
Irène Némirovsky

giovedì 12 luglio 2012

breath

Bisognerebbe fare come le due lepri; quando cala il colpo, cadere follemente come morti, raccogliersi e riprendere coscienza, e, se si è ancora in grado di respirare, scappare a tutta forza. La forza dell'angoscia e della felicità sono la stessa cosa.



Soffro di un eccesso di ispirazione e non smetto di sporcare tutto ciò che mi circonda; non lo senti questo intenso odore di acido? Inchiostro, china, tempera, olio, acrilico esalanti da tutte le pagine. Instancabile annoto sui muri, frasi riportate dalla memoria, traghettate da terre lontane approdano sulla bianca calce… le lettere storte, inclinate, percorrono lunghi tratti sorpassandosi, saltando tra le crepe e le fessure, si rituffano, tra spruzzi e alte onde si rifrangono sulla parete altissima, scoscesa e ripida, si articolano in contorte ventose o in sottili grazie terminali, raggiungono e afferrano le tue caviglie a bagno oscillanti e ignare. Puoi anche mordermi. È così forte e dolce la tua vorace bocca all'apice dei miei pensieri. In me trovi varietà e abbondanza, ma non rimarrò fino al dessert, già m'agito, allungo il secondo tentacolo, ti stringo il polso, col quinto ti solletico il lobo, coll'ottavo, e ultimo, ti scompiglio i capelli. Sbalzo via dalla presa e riprendo lo spazio che mi spetta, la contraddizione che mi è propria, l'ebbrezza e l'umore alterno, sole, pioggia, roccia, mare, vento, quiete, disubbidiente fino alla confusione patologica, discontinuità, irrazionalità. Non è pazzia… se mi guardi, riconoscerai te stesso, e tutto ciò che ci circonda, le radici e però anche l'esasperazione e l'agitazione. Cos'è l'equilibrio che invochi? Il quieto vivere, il tacito piegarsi alla tradizione? Non è forse più bello che io ti scandisca il tempo, ti cuocia coi miei baci, ti rinfreschi con le mie carezze… e ora abbandoniamo la terraferma, fuggiamo il caldo e, giù, celebriamo l'elegia del mare. Immersione. Abisso. Profondità. Visione ondivaga, fluttuante, respiro increspato che si frammenta in miliardi di particelle, infinite sequenze, bolle d'aria, nelle quali espando e contraggo l'esistenza, lui mi circonda, mi abbraccia, mi sostiene, mi sprofonda, immenso, è l'unico ambiente, elemento originario, in cui la mia ansiogena grevità si fa leggera giocosità liquida e azzurro finale sublime.

passo tratto da Minima moralia - T.W. Adorno

domenica 8 luglio 2012

mea culpa

La ricerca del proprio grigio è la ricerca del proprio equilibrio personale e degli altri. A chi lo stai dicendo? Ne so qualcosa io... dovrei essere un'esperta in sfumature, toni e mezzi toni, dovrei, sì, ma, magia dal cilindro vengon fuori solo conigli bianchi, tortorelle candide o al massimo un lungo foulard di raso nero, nero. Non sai fare di meglio? Allora! Cominciamo coll'assunzione delle responsabilità e finiamola con le domande. Questo spazio è mio. Miei i confini tra l'errore e il pentimento. Se ne avessi voglia non m'inginocchierei di certo per chiedere perdono. Non son carne tenera, per nulla. Al prete che mi chiedeva insistentemente allora figliola quali peccati hai commesso? Ancora con le richieste: non sono sua figlia, se così fosse ci sarebbe un leggero conflitto di interessi tra la sua tonaca e la mia minigonna… poi son così distratta che li dimentico dopo il primo migliaio, faccia lei. Ho smesso tanto tempo fa, ho interrotto la breve sequela di invocazioni con una bella imprecazione e… amen.
Sono coriacea tanto che devi procurarti un solido martello pneumatico per farti strada nel carapace armoniosamente disegnato e disintegrare tutto lo stomachevole scudo contro il quale si abbattono quotidiane e insistenti tutte le corruzioni e le miserie umane.


Ah! L'hanno ben sostituito, il padrone! Le sue violenze, le sue scempiaggini, le sue furbizie, tutte le sue puttanerie pubblicitarie! [...]
I nuovi sfruttatori sono già lì sul podio!... Guardateli, i nuovi apostoli... Tutti pancia e a cantare!

Son qui per scolpire nell'aria tutte le loro bassezze, per descriverli, narrarli e allertare tutti coloro che giacciono lì ai piedi di quel podio ad attendere a bocca aperta che si traducano in concessioni ed elemosine. Non sono che violenza gratuita e malattia dispensate a piene mani prive di compassione e umanità, umilianti e disgustose professano libertà, giurano fedeltà ad alti ideali, ma a un attento esame radiografico risultano piatti, deformi, inconsistenti. Ecco, si perdono altre sfumature, altre speranze di colore, l'essenzialità dei tratti: devo esibirmi in un'evoluzione per intenderne i contrasti e i significati reconditi. C'è uno spesso strato di sporco, compio uno sforzo nel carpire le gradazioni di cui parli. Sono un'esteta. Esalto la liberazione dai formalismi, fuori dalle regole contenitive, anarchica di natura, rivoluzionaria per vocazione. Personaggio scomodo che fa della sua vita l'intima impresa di provocazione, ad animarla la potente ansia di fuggire dal banale, dall'anonimo e dalla notte: una vita piena di incidenti...


Caro Amico. Sono anarchico da sempre, non ho mai votato, non voterò mai per niente né per nessuno. Non credo agli uomini.


al di là di qualsiasi considerazione sulla sua ideologia, grazie a Celine scrittore

sabato 23 giugno 2012

nel paese delle meraviglie





Bocca racconta la storia di margini, di sogni decapitati, di ricordi svuotati… dalla finestra io osservo, impotente, non fuggo, non mi scosto, partecipo… in una posa di intenso ascolto, non intervengo, dipinta e immersa nell'oscuro sfondo. Oh, vedi di illuminarmi… penso, ma non lo dico; e tu mi domandi: a che pensi? Alla luce. È difficile. Lo so. Difficile crearla, impossibile riconoscerla. Ma quando ci riesci, quella si estrinseca, la lanci avanti e quella fa un buco enorme, la sposti indietro, perdi l'equilibrio, ci cadi dentro, e cominci a scavarci in mezzo. Ho una gestualità tutta mia, io. Alzo il gomito come per grattare sulle corde con l'archetto, permetto al nonsense di avere un suo perché, tocco leggero e reazione accennata; vigoroso arpeggio ed emozione vivissima. Il taglio è profondo. Quel che ne sgorga è un insieme di ovvietà, di convinzioni infondate, sentimenti poco sottolineati, citazioni inutili… sì, perché più uno cita, meno opina; cosa? Le opinioni, dico, difettano, sono assenti. Dubbi, non so, non sono sicura. Mi piacciono più che So tutto io. Cose intelligenti ce ne sono, ma quando ipocritamente ne cerchi e non ti riesce di trovarne, considerati esonerato. Meglio la noia delle proprie assenze, che l'adagiarsi sulle non presenze altrui. In sostanza… pausa, sosta. Continuo a guardare, attraverso quel tondo, dal buio spruzzato ad arte, una bella cioccolata calda, un rinfrescante tè verde o un caffè elettrizzante: resa debole e allo stesso tempo concreta, mi emoziono, mi piace, mi commuovo, mi lascio possedere e forse, me ne sto rendendo conto, diventa possibile - sinapsi ricucita - l'illuminazione. Mi faccio trascinare a bordo di quelle stupende pagine e parto. Recupererò le chiavi e aprirò in quel delirio d'onnipotenza, in quel mostruoso sdegno, nello sconforto mio al cospetto del fallimento della coscienza. Si può sopportare per anni tale miseria? L'ho sperimentata così da vicino, ho creduto che fosse un punto fermo al quale aggrapparmi, e invece, son precipitata nella desolazione più cupa. Bocca parla di me… cosa? chi? No! Lei! Messinscena sublime, drastica sostanza. Devo caricarmi di coraggio, catturare l'assurdo e orientarmi attraverso gli schermi e per mezzo di nuovi schemi. Sono cambiata, non son più brulla, fasulla e chiusa. Bocca sono ravveduta. Bocca sono io… No, non io!



Passi tratti da Non io - Samuel Beckett, 1973

lunedì 18 giugno 2012

l'oltre e oltre



Si sarà compreso in questi tre anni insieme? Io il caldo non lo tollero, quindi, ho bisogno di una buona sorsata di acqua, menta e limone (categoricamente raccolti nel mio giardino), di musica fresca, sognante e aliena, di una discreta dose aggiuntiva di ottimistiche visioni. È troppo bello perché non lo condivida con voi, poi, però, rabboccate! Loro sono tornati dopo diciotto anni e io li riascolto con piacere.





«La voce della notte – insetti, quello che fossero – lo aveva seguito in casa; capì d'un tratto che era la frizione della terra sul suo asse mentre si avvicinava il momento in cui doveva decidere se continuare a girare oppure rimanere ferma per sempre: una palla immobile nello spazio raggelante attraverso il quale, come fumo gelido, si avvitava uno spesso odore di caprifoglio».

William Faulkner, “Santuario”


venerdì 8 giugno 2012

uno dei possibili

continua…



Ho soggiogato quel quadrante, ho afferrato le lancette, sgusciato ed eviscerato tempo e modi, da brava massaia raccogliendo ingredienti espedienti e inclinazioni, mi accomodo e ti cucino ben bene non ignorando la quantità, esaltando la qualità. Non mi dilungherò in particolari poco interessanti, andrò subito alla carne soda, sezionandola, insaporendola, lasciandola in intingolo con bacche di ginepro e robusto vino rosso; sprigionerà un profumo intenso, rilascerà umori e ne assorbirà altri... una deliziosa tortura per le mie mani, una piacevole sorpresa per il tuo palato. C'è una segreta abilità ascosa ai più: quella prodigiosa attitudine a creare immagini dal nulla, alterarne natura e gusto, farne nutrimento, trasferirlo in un universo parallelo nel quale celebrare in liturgia suprema la forza e la potenza dell'energia vitale che ne scaturisce. Non è forse questo il paradiso? I sensi. Non sono ancora sazia. Ho spiluccato, ho intinto il tuo taglio più remoto nella percezione pura e intima. Guido ora la mia lama a incidere sull'omero e lì la mia papilla si scatena, scaltra, infida, indaga e rimuove ogni tuo ultimo indugio. Cosa mi trattenga dallo sferrare il successivo attacco è la precisa volontà di sperimentare sulla piega del tuo accavallamento un'ipotesi di percorso, una tattica di tortura, uno spartito lungo le cui linee si muoia e si rinasca adagio, veloce, allegro, molto allegro, io chiave di sol, poggiata lieve sulla seconda a sottolineare a riempire a muovere la notazione un'ottava sopra, un'ottava sotto, preda, predatore, si inseguono, si confondono, si infondono, si compenetrano, si smarriscono, si ricongiungono, ricomponendo una corrispondenza tra il dentro, il fuori, lo smarrimento interiore, un fugace e dilatato desiderio di sperimentazione sulla superficie. È tutto così disturbante, niente è più evidente, i ruoli si sono invertiti, il carnefice nella costruzione artefatta viene sbalzato su un piano inferiore, a coprire o ad attutire i rimbalzi, soccombe, la vittima cangiante sovrasta e si perde e fluttua, congelata e perennemente sospesa nell'infinitamente, indecifrabile, l'emblema a forma di spirale nella quale convergono a scandire le cinque armonie. Uno schermo piatto, ma malleabile, oscuro e riflettente si pone tra i due: i loro profili si congiungono, le loro proiezioni felici, cozzano, si scontrano, s'intersecano, s'insegnano l'incastro, a far scaturire la scintilla della creazione di un nuovo universo fatto di acqua e calda luce vivificante. Il mio punto generatore, il suo impulso. Si avvicina. Lo imploro, lo raccolgo e il ventre levitato sussulta, riempito, grato. Il piede, impazzito, s'attorciglia e rilascia, il ginocchio si avvita, memorizza, compie un giro attorno al fianco, il bacino batte il ritmo e suda, scioglie, la lacrima, la fatica impiantando le radici nelle fossette. Si allontana…





Credo nella bellezza di tutte le donne, nella perfidia della loro immaginazione che mi sfiora il cuore, nell'unione dei loro corpi disillusi con le illusorie sbarre cromate dei banconi dei supermarket, nella loro calda tolleranza per le mie perversioni
James G. Ballard

mercoledì 30 maggio 2012

greed

e questi sono i generali con le loro mitragliatrici, e sono i cimiteri
con le loro tombe, e sono le casse di risparmio con le loro cassette
di sicurezza, e sono i libri di storia con le loro storie
ma se volti il foglio, Alessandro, non ci vedi niente…

Una pellicola frastornante. Il nulla, in realtà, ben più grande e potente di tutto il resto; il grande niente che smette di nascondersi e interpreta se stesso con la gestualità tipica dell'afferrare, dello stringere, del negare. Il meccanismo è semplice: l'oro degrada al rosso, s'incancrenisce e si fa nera violenza, oscura volontà di distruzione. Le mani che prima si cercavano con passione ora non si riconoscono più, estranee e nemiche, si staccano, si separano, si dividono; si trascinano in una bestiale spirale, nella quale, dapprima luminosa, il turbine prezioso, eleva ma poi con una spinta altrettanto forte precipita in basso, seppellendo e schiacciando, tante, pesanti, cumulo giallo, sonanti monete, tolgono aria e luce e forza alle dita che le adoravano, e ora se avessero la fortuna di venir fuori… e nel mentre si scarnificavano a forza di lucidarle, di contarle, di amarle… suggevano tragedia e trasmettevano sventura. L'atmosfera è resa da campi medi o lunghi, atmosfere pioventi, grigie e invernali, l'ossessione e il pathos, sono immortalati in primi e primissimi piani, profondità di campo e di natura che tratteggiano in maniera convincente gli stati d'animo alternanti, le doppiezze, le tinte fosche e le tensioni trattenute, ma avvertite come imminenti, che poi sfociano e concludono memorabilmente nella scena abbagliante, calda, infuocata.




i razzolatori malefici




Passo tratto da Purgatorio de l'inferno - Edoardo Sanguineti

venerdì 25 maggio 2012

fil rouge


Nessun dolore nel mio corpo. Raddrizzandomi, vedevo il mare azzurro e vele.

Drizzo la penna, e butta gemme e foglie, si ricopre di fiori,
spudorato è il profumo di quest'albero,
perché là nel mondo reale
alberi così non crescono, ed è come un affronto
fatto alla gente che soffre il profumo di quest'albero.
C'è chi trova rifugio nella disperazione, dolce
come un tabacco forte, un bicchiere di vodka
bevuto nell'ira della perdita.
Per altri c'è la speranza degli stupidi
rosea come un sogno erotico.

Su un foglio lasciato nel cassetto s'intende sia stato scritto il concetto. Un amaro pensiero, uno scenario attuale. Tratto in avanti, dopo tanti scossoni, non può più tenere quelle poesie, orfane del suo poeta. Povero. Atrocemente perduto dietro la speranza o la sua ombra, il suo nome si ripropone con rinnovata potenza, spazzando via l'oscurità e l'atmosfera nebbiosa di un'epoca e della sua barbarie, liberato dalle catene urticanti della censura e dagli umori pestilenziali di un catenaccio orribile che serra pace e libertà con guerra, razzie, violenza.
Ce l'ho; è mio.
Come quella volta in cui scostando polvere e appunti sparsi urto un gran volume in cima alla pila che veglia sui miei sonni quietando quegli agitati e abietti e sostenendo in volo quelli dolci e coraggiosi. Si schiude di colpo su un volto incorniciato da rocce, tre cime le fanno corona e il sorriso disegna una valle verdissima, immagino, giacché quelli che vedo sono sbiaditi bianchi e neri, uno scatto felice e consunto, tra le pagine consumate da mani curiose e giovani. Il tempo si è fermato, ma ha continuato a incidere nella coscienza di chi a turno legge, ereditando e ripetendo, come in un sacro salmodiare asciutto e senza inutili fronzoli.
Lo ripeto; è mio.

Ti do me stessa
le mie notti insonni
i lunghi sorsi
di cielo e stelle - bevuti
sulle montagne,
la brezza dei mari percorsi
verso albe remote.
Ti do me stessa,
il sole vergine dei miei mattini
su favolose rive
tra superstiti colonne
e ulivi e spighe
...
E tu accogli la mia meraviglia
di creatura,
il mio tremito di stelo
piegato al vento
limpido - della bellezza.

Oh rifammi tu degna di te, poesia che mi guardi.


I versi: quelli iniziali sono del poeta Milosz Czeslaw; quelli finali sono della poetessa Antonia Pozzi

giovedì 17 maggio 2012

sfidare le voglie

Quando senti che nulla potrebbe mai più turbarti, quando abbracci con sguardo nuovo un vecchio padre, debole, ma infrangibile come mai immagineresti di vederlo, quando ti abbandoni allo scorrere degli eventi, opponendoti poco, q.b., quello che riuscirebbe a farti riconoscere tra miliardi di altri esseri viventi..



bentornato Buchanan, e per sdrammatizzare