Prima che si verifichi un intralcio, per evitare che si sieda in prima fila la guastatrice di turno, che tutto rende banale e fastidioso, metto a punto, svolgo e dipano l'intreccio della trama. Voglio che tutto sia perfetto… il dramma, il conflitto dovrebbero descrivere senza creare distacco, far pensare senza, però, far annoiare. È un martellare continuo che non dà tregua. Mi ha condizionato per mesi questa storia. Inesorabile. Il parto è stato liberatorio così come il partire di uno dei protagonisti raccontati.
Dunque sei morto
poi mi sei apparso
assorto nella luce della finestra
e adesso già ti allontani provando
la seconda morte e poi la terza.
Verrà forse una vita nuova
ed io sono ancora vivo.
Ma per quanto? (Ragazzi a vita, Renzo Paris)
Dal mio punto di vista, ch'è complesso come la vita interiore spontaneamente s'impone e prende posto dentro ogni essere umano, c'è molto odio, paura, rancore… così tanto che comincio a pensare che dappertutto non vi sia che veleno, menzogna e incomprensione. È il mio rifugio, la mia tana in essa mi stempero e riprendo forza, trovo solitudine e riscossa; da essa attraverso un dettagliato e reale spiraglio oso e scorro via libero.
Gli uomini sono un vero mistero per loro stessi (Akira Kurosawa).
Soprattutto nei momenti di disorientamento, quando a fronte dei frammenti sparsi di un'epoca in caduta libera andrebbero contrapposti pilastri per l'avvenire, quando è forte l'esigenza di porre fine al putrescente oggi e slanciarsi verso un domani luminoso, che si avverte potente la necessità di riascoltare la storia, di risentirne voce e monito, non tanto quella maiuscola, quanto tutti i mille rivoli particolari, le voci singole che declinano lo scorrere del tempo condiviso nei travagli emotivi individuali, vitali e carichi, quelli che ci raggiungono alla schiena e incidono violentemente sulla nostra sensibilità sfocata e attutita.
Mi contraddico, forse? Ebbene mi contraddico. Sono vasto, contengo moltitudini (Walt Whitman)
Le narrazioni sono due, in successione da flashback di vite, avvinghiate e separate, accomunate dal pericolo, dalla follia, dall'instabilità, dalla solitudine e dal vagabondaggio. Due esistenze in cui regna il disordine di una sensibilità fragile, dall'inadeguatezza di esseri unici. La narrazione doppia in prima persona salva episodi del passato dall'oblio e si trasforma in chicchi di sale da gettare sulle ferite anestetizzate dell'oggi. Sono voci intercettate dalla storia che spazzano la nebbia fitta della bulimia mediatica, dell'antipolitica imperanti e cercano di intessere un dialogo forte, attivo, partecipato. I toni modulati e modellati da due stili diversi esplicitano il chiaro attrito tra due pensieri opposti, due mondi distanti, ma aprono una sola finestra sulle singole storie come su interi anni, permettendo alla memoria di fare da trait d'union… necessità e cura perché il tempo d'allora venga a mordere il presente, a scuoterlo dalla sua fissità, a salvarci.
Se solo tu fossi qui, e non in un luogo sconosciuto della mia mente, che un tempo era e adesso non è più, potrei voltarmi indietro ad osservare lo stupore dei tuoi occhi, che guardano attraverso questa polvere di pioggia che ora m'allontana dal tuo cercarmi a vuoto nel silenzio di certe mattinate, che lì da te sono girate verso il mare e qui si perdono di vista in un istante… (Stefano Tassinari)