domenica 28 dicembre 2014

presente, già, storia

Se c'è una cosa che non le riesce bene è misurare le percezioni, rendere reali delle astrazioni di per sé meravigliosamente semplici al solo fine di adeguare la propria arte al contesto, all'imbuto della forma-normalità, alla tragedia del comune.

Potrebbe essere il trionfo dell'improvvisazione. Ci si abbandona a una ripetizione creativa, a un loop o milioni di essi che si adagiano piano, prendendosi ognuno il suo tempo, lento, lentissimo: nasce, cresce, matura e muore nell'arco vitale di un ciclo mai uguale a se stesso. Tessuto liquido, percussione gassosa. Lui è perennemente lì, ma non riesce a trovare uno spazio ben definito tra l'epidermide e il contenuto, un flusso di coscienza fascinoso, subdolo, libero.

E invece viene incapsulata, imprigionata in una impressione estetica e non estatica, alla quale manca la profondità, un apparato monodimensionale, un pensiero registrato in studio e non esibito dal vivo. Scarso dinamismo, realismo estetico fine a se stesso. Giocoforza maniacale, cosmesi bieca e cieca imposizione. Lei è lì, perennemente ribelle, violenta nemesi. La goccia cinese contro il machete. Intrico. Intrigo. Passo in avanti. Scivolata indietro. Taglio netto ed espressione viva poco ispirata.

Un momento e un giorno. Un giorno e un anno. Sembra lontano e remoto. Nel futuro. Il presente è già passato. Storia sfocata e tremula. Lo fermo nella memoria e nella mente, ora. E improvviso.



venerdì 12 dicembre 2014

demòni

E lo vedete realmente? Vedete realmente una figura ben definita?

Come in una situazione di grande disagio e di estrema fretta. È tutto stabilito. E poi, in prossimità della data disdici, annulli, ti neghi. È un periodo tormentato, ti sembrano gli anni peggiori, ritmi intollerabili, umilianti difficoltà, cappio incombente dall'alto e pungolo continuo dal basso. 
Sensazione di resa e stimolo ad andare avanti. 

Quando parli di diverso ordine di esistenza, di sospetto, di realtà altra e non ti si comprende, e ti si deride ché i modi son veementi e febbrili, enorme è la malattia, troppo invadente, assai melliflua e insidiosa, t'ha resa cinica e lasciata inerme. Ti sembra di reagire, ma rimani lì, ferma e delusa.

Poche frasi stavolta, ma sufficienti ad appiccare, ardere e consumare le poche certezze. Ambigue come posson essere due lingue biforcute, ma lunghe e contorte, congiungono opposte rive, il tempo breve di un'illusione passeggera, di un tentativo di redenzione fallito, ed è impossibile stabilire un segno armonico e un disegno preciso. Stento.


Sì lo vedo, lo vedo così, come vedo ora voi... e talvolta lo vedo e non sono persuaso di vederlo, benché lo veda... talvolta non so chi dei due realmente esista: io o lui…


F. M. Dostoevski, I Demòni

venerdì 28 novembre 2014

La grande voglia

Di star meglio per andare.

Di vivere meglio per non tornare.

Di capire ancor più per lasciarsi andare.

Le simmetrie le ho sempre odiate. 
Le rime, le unioni forzose, le combacianti, le indissolubili. 
Agli inizi, no. Tutto sembra talmente naturale e spontaneo che apri fiduciosa, ma poi più leggi, più assorbi, più tutto diventa inafferrabile, impalpabile, intraducibile. 'E tu non afferrare. Non stringere. Non appropriartene'. Comincio a deconcentrarmi, ma è evidente, dove prima si intuiva un'ombra appena accennata, c'è una montagna di polvere che s'agita e m'agita. La sostanza di quel che sono stata o che avrei potuto essere e non son stata, quella che allude ed elude. Annulla e s'annulla. Nega e si nega. Non dice nulla. Afferma tutto. E s'estende sul tutto, me compresa, m'avvolge, con me si fonde, ci supera, umiliandoci, sublime ed evanescente e sospende. Per sempre. Qui sì, quella continuità acquista un senso: essenza, assenza, emergo e scompaio, vertigine e profondo equilibrio. La voce svanisce e l'opera si compie. Chiudo.

Di trattare tutto col giusto tocco.

Di assottigliare il sottile confine tra due diffidenze.

Di fondere i due.

Voglia poca.





nulla che sarà e il nulla che è stato
Mark Strand

giovedì 20 novembre 2014

odiare non m'affatica

T'ho visto, stai storcendo il naso. E stai pensando che così non va. Che dovrei cambiare. Che dovrei aprirmi. E io, al contrario, guarda, toh, ho deciso. Che così va. Che dovrei cambiare, sì. Ma che dovrei chiudermi. M'han chiamata aceto. Ed è un avete ragione. E lo si diventa quando non si è sigillati per bene. Quindi detto ciò, ragionato e stabilito, conclusione ovvia vuole che trionfalmente io vada a riprendermi il mio meritato riposo, liquido denso che si farà sempre più corposo, contenuto tra assi incurvate, profumate di legno pregiato, tenute ferme e salde da strisce potenti di ferro. Dopo un'annata disastrosa, la precedente, la produzione attuale si presume sia buona, poca cosa, ma con resa discreta. Attendo. Attendi. Lo sbocco naturale è quello. Afferra e gira. L'apertura si respira già, atmosfera festosa, ultimo arrangiamento e armonia lontana dalla pozza di depressione in cui eravamo mortificati entrambi. Fai in modo di immergerti totalmente, non perderti in paragoni, lascia che sfoci dentro e fuori e non costringermi oltre. E non imporre maturazione. E non registrare risultati. E non esprimere giudizi. E non centellinarmi. Mai. Impazzirei se dovessi perdermi in gocce versate piano. Voglio che spalanchi a sorpresa e prenda a piene mani. Io in continua guerra con me stessa e con gli altri. Con chi vuole imbottigliarmi ed etichettarmi. Io. Divisa o spaccata. 
Versami e riempiti. 
Non voglio che mi sorseggi. 
Voglio che ti ubriachi. 
E io in te.

Chromatics, Night drive




lunedì 10 novembre 2014

bugiarda favolosa

Per ritrovare la vera me bisogna abbandonare tutte le altre piattaforme in rete, fare un salto e arrivare qui. Solo su questo spazio sopravvive, pur ben nascosta, la reale vicenda. Mi potreste incontrare dappertutto, ma simulo alla perfezione e mi muovo a mio agio tra grottesco e irriverente. Qui, invece, lo sguardo leggero e beffardo si smarrisce come in vicoli stretti e troppo simili, inciampa come su sconnessi e irregolari sampietrini. Il mondo di fandonie si sgretola davanti al passo incerto e al respiro affannoso. La stanchezza si fa sentire impietosa. Nessun pensiero profondo, né sgomento né travolgente passione. La voce narrante si rompe perché nelle orecchie risuona piantata, fissa la melodia di Arvo Pärt. Emozione tutta mia, indivisa e indivisibile. Mi volto indietro e mi sferza un vento odioso e fastidiosissimo. Guardo avanti. Niente di speciale. Cosa mi aspettavo? Tutto, tranne il nulla dove un tempo doveva esser stato così tanto. Ma so che devo andare, per perdermi ancor più. O per perdere tutto il resto.

A ciascuno il suo.






martedì 28 ottobre 2014

fo disfo soddisfo insoddisfo

Mi sedetti dalla parte del torto perché quelli seduti dall'altra parte parlavano con la bocca piena di ragione.

Piccola storia, come di tante è fatta la vita, divisa in tante comode mono-porzioni da portare con sé nel borsello frigo ch'è la vita stessa. Ci vuole un solo giorno per dimenticarsene. Fingi un'amnesia o la smarrisci sul serio o compi il gesto inconsulto, meglio ancora, e le spazzi via tutte insieme. Trasferisci armi e bagagli, mini-bazar zeppo poco di cianfrusaglie di ogni epoca e valore, di solito amicizie e momenti di gloria vacua. Sono uno spirito geneticamente retrò, fatta di nostalgia di un punto imprecisato del passato e perciò potrei collocarlo a piacimento in giro e appuntarlo in boh al .° paragrafo di un racconto brevissimo. Poca roba, ma l'avevo ampiamente già detto. E la location? L'hai scelta, ed è una città fatta di contrasti e fascino, per niente calorosa e romantica, vintage e laidamente languida, macedonia di simbolismi, assurdo accrocco di mura privo di porte. Niente chiavi di lettura quindi. Perdita di coscienza collettiva solida e unitaria. Finalmente l'ho trovata. È questo il teatro dell'ultimo e definitivo colpo di pennello: tiro fuori la bottiglietta dal contenuto trasparente, me la vuoto addosso e mi do fuoco. L'alcol fa miracoli. Sempre.




Volli fortissimamente rolli.

martedì 14 ottobre 2014

il mio posto

Mi sono piegata al volere del mondo in cui vivo, un mondo che si sforza di far dimenticare i ricordi di quello che sta più in basso come se fosse qualcosa di cattivo gusto.

Ero seduta in mezzo a tanta gente divertita. E io non sapevo nemmeno come ci fossi arrivata lì. Cercavo qualcuno e non lo vedevo. M'ero anche piuttosto affaticata. Stanca, e lo sono da un pezzo ormai. Del possibile. Vuoi qualcuno che ti prenda in consegna la mente e gli occhi, vuoi affidarglieli il tempo necessario a dedicarti ad altre strade trascurate per troppo tempo. E dev'essere una ricerca non molto impegnativa perché anche i piedi che le percorreranno son doloranti. Dall'impossibile. Ma quelli vanno, mentre le dita scorrono su righe fitte, e lo sguardo s'è già posato su un libercolo o almeno tale pare ché già in pochi minuti t'ha compresa tutta non appena l'hai preso tra le mani. Probabile. E questo è l'inizio della storia. E io sto così, folgorata, come si può esserlo di fronte a uno spettacolo inaspettato, un film che non conosci, il pittore di cui non hai mai sentito parlare. È lo svolgimento, il compimento della iniziale impressione. Ottima. Ancora meglio. Chi entra nella mia vita e lascia una sottolineatura nero grafite, dal 4b al 9b. Morbida. Sì, ma densa, spessa, avvolgente. Le informazioni sono essenziali, lineari, secche, concise. Parole, gesti, gusti, profumi, rilievo e incavi, segni ed esistenze. Stile piatto, ma naturalmente incisivo. Credibile. Sto seduta e so perché quel posto è occupato da me. Lo capisco nel momento in cui mi giro all'improvviso e uno mi stampa un bacio sulla bocca. Uno. Verosimile.


Flunk Change my ways


giovedì 2 ottobre 2014

Punto.

I miei compleanni iniziano sempre con un incubo, perché contrariamente a tutti quelli che festeggiano il loro arrivo nel mondo come un giorno fausto, io mi sento in lutto.



Se c'è uno spazio ristretto e poco capiente quello è il mio petto. Mi stupisco di quanta rotondità abbia potuto ospitare. Poco sentimento. Scarsa attitudine all'impegno. Tanti stratagemmi. Altrettante bugie o verità nascoste. Rendo elastico questo mio torace, lo apro, ci scovo anfratti infiniti e multiformi. C'è un lungo corridoio e ripostigli scavati nelle pareti. È tanto scuro, ma a me il buio piace, anche dovesse comportare insidie e trappole. E ci sono. Scopro. E io le provoco tutte, voglio vedere fino a che punto riesca a spingermi. Oltre. Senza sforzo ché quando sono in vena tutto mi penetra, tutto mi riempie. Anche dovesse bruciare, far male, bloccarmi, legarmi, stendermi. Io che non voglio seccature né complicazioni ho avuto modo di veder crescere il male e vacillare la mia seppur precaria sicurezza. Mi son fatta squarciare, mi son tirata e ricucita, e ogni volta son tornata su, in un continuo assedio ai nervi, come una molla che si carica e scarica un nuovo assalto. Vuoi che ti racconti? Ti sequestro le mani, le dita e le guido sulle cicatrici. Quelle visibili e quelle interne. Mi presti la bocca, la lingua e la attiro sulle mie. Assaggia. Arpeggio. Armeggi. E gli indugi son spazzati via da una marcia epica, da una cavalcata folle, da una superba narrazione. Mozza il fiato. Come quel lampo improvviso che spalanca un varco nelle nuvole cupe e spesse e illumina il già spaventoso campo di battaglia, spot sui caduti, e flash su quelli ancora vivi che attendono nel Valhalla lo scontro finale. Sono figura in disparte che prende il volo, percorre al contrario la via, ammantata dall'elettricità depositata dal fulmine e infine si poggia, scarto e scelta, pausa e finale. E ora sta giù, s'inarca, si piega, si adagia. Piano. Punto.

Blood fire death - Bathory.

2/10/2008

giovedì 18 settembre 2014

En attendant

Si potrebbe tradurre in aspetta e spera. Ma il verde non è tra i colori preferiti il mio preferito in assoluto, né le citazioni ben accette.
E così vado senza muovermi. Sposto solo oggetti, ma i piedi rimangono ben piantati, senza radici in effetti ad avvolgere nulla, a scavare profondamente.

La lingua morta si dissecca e il cuore marcisce, cieche bocche scavano gallerie nelle carni, ma la terra resterà per sempre; la peluria cresce come a primavera sul petto sepolto, ma i fiori della morte sorti tra le cavità del cervello non appassiranno.

Sembravano veri e invece erano solo imitazioni di se stessi e io ricerco gli originali per troppo tempo ormai. Quando ci impieghi tanto sei fuori strada o sei andata troppo dentro e la verità è solo una: non c'è nulla. Nemmeno una parola, un verbo, una frase di senso compiuto utili a riportarmi in superficie.

Non ci sarà più alcuna lingua, non una lingua per il silenzio e per la terra: le labbra radicate non pronunceranno più parole, il freddo occhio del serpente sbircerà tra i vuoti del cervello, e non un grido dal cuore su cui sorgono i vitigni.

Poi finalmente un pugno, sferrato con forza ed esploso in piena faccia, mi rimbalza su, in una potente, continua progressione verso l'alto e nel mentre vi vedo tutti e tempo, guerra, buio, luce. Accumulo e vuoto. Salita e ancora e ancora. Rossa d'eccitazione e di rabbia. È stato orribile, denso e lieve.




passi Thomas Wolfe
in sottofondo Fleet Foxes He doesn't know why

domenica 31 agosto 2014

what dreams may come

Non serve nient'altro. Hai tutto ciò che ti serve, me esclusa. In realtà vorrei che fosse così, che tu fossi l'unico sulla faccia della terra. Sulla mia. Ho letto di una nazione in cui c'è un paese tutto al femminile. E io lo immagino il minuscolo nucleo: gli uomini son partiti tutti e han lasciato sole le donne in balia degli eventi, della durezza della vita, della morbidezza dei loro fianchi, della pienezza dei loro seni. Che atrocità sarebbe? Il vuoto che si perpetua per anni, decenni. Un lutto terribile. 


What dreams may come, when we have shuffled off this mortal coil, must give us pause.

Un giorno un uomo sarebbe arrivato. Unico. E quello lo si sarebbe dovuto dividere, prendere e lasciare, conquistare e cedere. Il solo maschio in quel nucleo crea scompiglio, scioglie, cinge, stringe e accarezza. Che atroce spettacolo sarebbe? Il vuoto che si colma e risuona, il lutto che si smette e si fa rossore. Rigoglio. Seme. Vita.

Comincia il viaggio verso l'altrove e oltre. Hai bagaglio e viatico. Inclusa me.

Passo da Amleto, atto III, scena I

Music Trentemøller The last resort


domenica 17 agosto 2014

Persa.



Di quando stavo bene ché non sapevo. Di come ti senti svuotata dopo un lungo e profondo sonno e così vuoi restare. Del perché ti svegli rintronata allo squillo del telefono che hai dimenticato di spegnere ché lo sai che le notizie devono arrivarti piano e non rovesciartisi violente sulla testa. Del se fosse stato opportuno rispondere e quanto tempo hai impiegato per realizzare che sì, sarebbe stato meglio non farlo ché lo sai, le cose iniziate in questo modo, apparentemente per caso, son quelle che finiscono male, anzi peggio.

È un viaggio, falsamente lungo, a ben vedere brevissimo, in mezzo a profonde fragilità ed intime inquietudini, attrazioni e repulsioni continue, sicurezze che si sgretolano a cospetto di un mondo conformista e regolato: ruoli da rispettare, limiti da ristabilire, equilibri da non forzare. Non puoi dimostrare cedimenti, non devi concederti a disorientamenti. E a me piace tanto cedere, io son fatta per essere disorientata. Ciò che dovrebbe essere, io non sono. Sospesa. Battuta. Applausi. Sipario.

venerdì 1 agosto 2014

anal-tema

Sto procedendo a marcia indietro da un po'. E, devo dirlo, mi si confà. Tanto. È come un pezzo musicale suonato al contrario. Non lo riconoscereste, ma intanto sembra avere un senso. Tanti. Parto mescolando direttrici diverse, evolvo e mi ritrovo ad essere una realtà di maggior spessore. Incredibile. Parecchio. Enfasi frapposta a un enigma. Dagli esordi fino al prologo. Un Suono ch'è graduale tanto da sembrare Silenzio.
Non c'è nessun punto fermo tranne quello alla fine di ogni espressione facciale. Prima c'erano righe rughe, ora punti nei. No, non l'ho messo il cuore. C'è qualcos'altro che pulsa e dà vita a una delle più imprevedibili metamorfosi di corpo e corpo. Sto ascoltando insieme Cradle of Filth e Porcupine Tree. Nessun biasimo d'anima perduta nel bellissimo rituale - sacro e barbarico - tetro e ferale. Tutto molto immediato. Laido. Sbraitato. Bollente. Perché ghiacciato.


venerdì 4 luglio 2014

invisibile

'Come avessi preso, grazie'. In sé ha qualcosa di incompiuto: appena abbozzata, per niente definita. Eppure… è bella, sì, molto. La firma è diversa. E nessuno riesce a capire chi sia l'autrice. Così dev'essere. Tutto per il piacere di fare. Tutto per il gusto d'esser fatto. Il nulla è lì, dietro l'angolo, in agguato. Ma lei non ha eccessivo timore, qualora dovesse spaventarla, si ritrarrà, farà un salto, ma finirà lì. Continuerà ad andare, com'è nella sua essenza, in carenza di coscienza, d'oblio regnante, in balia dell'inquietante sovrano che ha la meglio su tutti gli sforzi d'esistere, d'avere consistenza durevole, di conferire un senso al suo vagare sopra una terra indifferente.

Cos'è allora questo quadro appena appena tracciato? È una macchia di colore che si sposta lungo tutta la superficie della tela. Oggi è gialla. Strano, perché indossato su pelle ancora chiara, regola contravvenuta, onnipervasiva menzogna, un tema approssimativo, accennato, macchia luminosa sospesa in mezzo a un'atmosfera rarefatta fa del colore intenso un disegno quasi impercettibile, un mistero di seta frusciante, avvolge e scopre gambe non ancora abbronzate, l'andatura leggera come di foglia appassita mossa dal vento, si posa per terra e subito si rialza e si perde, ai bordi, in attesa di dissolversi. Nel tutto. Come tutto.


venerdì 13 giugno 2014

onnivora

Sarete d'accordo con me se dico che ciò che m'è accaduto sia una delle cose più belle capitate negli ultimi vent'anni. E bisognerebbe capire cosa sia successo in precedenza e cosa sia il passato unico così prossimo, che da vita al presente vulcanico e che come una marcia trionfale, che nessuno potrebbe arrestare, s'avvia verso un futuro, incerto sì, ma già si presume sarà creazione modellata ad arte a quattro mani o viaggio prolifico percorso da una moltitudine di piedi.
Ma non si preferiva spaziare in solitaria, rimirare paesaggi sconosciuti? Si continua a farlo, ma nel mentre ci si ferma ad immergersi in una materia nuova: musica polistrumentale, moltitudine di intenti, complesso di stimoli. In mezzo ci sono sempre io, debordante, inquieta e cannibale insaziabile che tutto copre, tutto divora, da tutto si fa penetrare. Intanto si attende una torrida stagione in cui si fanno potenti i profumi, i colori violenti, le parole dette evaporano, i desideri s'imprimono sulla pelle e la fanno scura. Più scura.



L'uomo deve farsi da sé, realizzarsi in un progetto costruitosi liberamente […] realizzarsi nel mondo come ha progettato di essere.
Stefano Scrima 'Esistere forte'

Il progetto è, in realtà, sconnesso e grezzo, larva slegata dalla crisalide, ma si percepiscono i contorni, l'ambizione e la dedizione abbozzate; si nutre, si riconosce, si scontra, si riscrive, si rianima…

sabato 24 maggio 2014

la cosa, il sogno

Apparirà allora che il mondo ha da lungo tempo il sogno di una cosa

Non avrei potuto scriverlo se non oggi. 'Perché oggi cos'è successo?'. Nulla, ma nemmeno domani. Il fatto è che uno ha sempre l'impressione che qualcosa stia cambiando, che qualcosa stia accadendo giù in strada, che ci sia qualcuno che smuova, ma nel momento in cui va ad affacciarsi, guarda giù e la strada è vuota. 

Eco di urla. Frammenti di idee. Versi lasciati a metà. Un genere che non capisco. 'Hai rintracciato la cifra stilistica?'. Nulla, soprattutto domani. Si risolve tutto in un nuovo partito che si da nome, programma, identità, e sembra l'unico che possa cambiare le cose, quello che sia in grado di restituire il sogno di una autentica giustizia sociale.

Che il sogno poi cos'è? La fase fantastica, proseguimento esaltante della vita reale. 'L'hai realizzato?'. Nulla, domani te lo dimostro. Vuoi che la gente comune sia capace di riformare la coscienza, dopo aver analizzato la stessa e compreso ciò che non va? Nulla, domani dormo. E sogno. E pretendo che tutto faccia silenzio.

Quando lo faremo noi il comunismo, lo faremo meglio.

Karl Marx - P.P.Pasolini



venerdì 16 maggio 2014

scorie

Lingua doppia, labbra indurite.

Come poter trattenere le parole

belle nell’impasto della bocca

otturata di polvere?








Così è il viaggio, nitido paesaggio sullo sfondo ben contrastato. Passato e futuro scanditi dalla quotidiana catastrofe, quella normale, del vivere, quella eccezionale, del vivere. E io circolo tra l'una e l'altra, sempre in mezzo, al riparo dalle luci troppo forti, avvezza alle tenebre con le quali stabilisco immediata familiarità.

Così è il passo, dal ritmo lento e cupo, quello che solca le zolle, quello che scava sempre più a fondo, 

quello che inciampa ed estrae il monolite nero, lo riporta in superficie perché lo si veneri, 

come un moderno totem, perché a lui si operino sacrifici, perché lo si salvi dal buio sottosuolo 

e lo si mostri al mondo intero: la felicità risulta da pari dolore sofferto in precedenza come scrisse il buon Poe…

Aprile è il più crudele dei mesi, genera
Lillà da terra morta, confondendo
Memoria e desiderio, risvegliando
Le radici sopite con la pioggia della primavera


F. Frascà - T.S. Eliot





domenica 4 maggio 2014

senza musica

Mettetecela voi una volta ogni tanto: la cercate, anche in mezzo al nulla - quanto ci impiegherei pur di non dire a caso - la trovate, la ascoltate e fate altro mentre la sentite. 
Da quanto riuscirete a fare, saprete quanto possa essere fonte di ispirazione quel brano, quel pezzo, quell'atto. Sono frammenti utili, non ci si stupisca quanto possa impressionare l'eccezionale amalgama di suoni e sensazioni che alcuni gruppi san produrre e riprodurre.
S'impara presto a riconoscere generi, mantenere un'identità, essere allo stesso tempo sfuggente e unico, impronta evidente e leggerezza unica e allo stesso tempo cupa, nera, buio pesto.
Si moderano i BPM, li si abbassa, li si fa scendere a livello degli inferi o simili al battito del cuore, che nel mio caso specifico quelli sono: caldo ritmo di basso e batteria, trip, viaggio e allucinazione, ritorno alle origini, vecchie tracce sparate meglio delle contemporanee, fraseggi luciferini soffici e sensuali. 

Scegliete in mezzo a tanto drum'n'bass e trip-hop.
Last but not least: Mucho Mojo, J. R. Lansdale.




… ballavo e mi son incapricciata nella tenda.

giovedì 24 aprile 2014

questioni. capitali.



Sto vivendo un'avventura al di fuori di me. L'atmosfera è quella ideale, particolare e comune. L'affinità muta. 'Non parlare'. ''Non rivestirti''. Così dirimo i conflitti. Quelli tragici. Quelli leggeri. Sempre di contrasto tra persuasione e retorica si tratta. Spesso solo confronto tra teoria e pratica, essere e divenire. Io la so fare la verità, basta che cambi pelle, basta che mi faccia fuori da sola. La frattura interiore è inevitabile. Il flusso continuo.

Parto. Durante il viaggio rammento vita, precedente. Sgomento. Scruto, scivolo attraverso le fessure del generale stato di decadenza, mi avvito su me stessa o, più facile, rimango inerme, parte di un insieme, un tutto di autosufficienza. Qualcosa mi divide da me e dalla me passata. Qualcuno, meglio. Mi scatena, opera cesura. Abisso sotto. Sopra essere ammalato. S'illumina, improvvisa al contatto con l'altro. E lì si realizza dicotomia: realtà, possibile. Prima, dopo. Si ripete, sempre: ieri dall'altro ieri. Oggi da ieri. Domani da oggi.

'Le attuazioni mi attraggono sempre molto meno che le cose inattuate, e con ciò non intendo soltanto quelle del futuro ma altresì quelle passate, mancate'. Robert Musil

mercoledì 9 aprile 2014

ri-tagli

I used to have real trouble playing live; my nerves would just take over and I never saw the audience as… I never understood what they were. It was like playing for some people you had to impress or something. Now I understand that's not the case - they're already your friend… (Camera Obscura)

Tempi giusti, di ritorni importanti in una casa tenuta vuota per mesi. Dopo una breve parentesi si torna a incidere a vivo. Chi sarà a seguire con le dita i segni, baciare le cicatrici, ridisegnare le linee, rimuovere i ricordi di passate misure, annotarne di nuove? So solo, per certo, che gl'innesti in agricoltura portano sempre nuova linfa, variazioni di un tema, apertura di un ritmo in semplicissimi come in irripetibili accordi, sfigurati dal rumore e penetrati dalla melodia di una pianta rinnovata, imperfetta, ma di rara bellezza.

Tempi distorti, di atmosfere soffocanti in lenta, inesorabile dissolvenza attraverso sventagliate e zampate graffianti. Quello che so fare meglio è picchiare forte, percuotere e sferragliare in una manciata di mesi, perdermi e riprendermi in frenetiche cavalcate o a farmi lambire dalla risacca dell'alba. So solo, quasi di sicuro, che farò tante prove e ne intuirò il risultato, perché creare contrasti e intonare obiettivi è mio mestiere. Ora la indosso. E ricomincio.
'Ti sta bene', sintesi e lungo svolgimento di un pensiero più ampio, ma aderente a tutta te stessa.


venerdì 21 marzo 2014

scavo



Strade deserte, una notte di inizio autunno, temperature in calata, passo tranquillo, occhi al cielo, quello pesante ed informe, quello che si perde insieme alla tua mente in congetture e meditazioni, piedi che percorrono spazio indefinito, vie, le proprie all'incrocio con le altrui e che ti offrono la possibilità di inserirti in un circuito più ampio, palazzi e la luce. E invece scegli la periferia, il buio, il silenzio, passi, e clangori sparuti, t'inquieta e ti rappacifica. Spirito di viandante e di nomade che accomuna più agli ammassi di foglie ai bordi che alla angosciante segnaletica urbana. Mi consumo, già snella e asciutta, in paranoie psichiche, più inaccessibile, possibilmente più ansiogena. Non ricordo quale sia stata l'ultima uscita di sicurezza imboccata, a tentoni, e ora l'illusione di una luce in fondo al tunnel non mi riguarda più, potrebbe essere una deflagrazione o una sfocata alba. Non è poi inappropriato pensare che in realtà questo è il mio spartano ideale vivere, al netto di viluppi mentali, non brancolo, anzi. Svolto a sinistra, cedo alla tentazione, m'abbasso sinuosa e serpeggia prima pulsante, poi sempre più melodica, austera e seducente, il nuovo corpo, la pelle vecchia abbandonata fuori dal pertugio dove un gatto indugia con gli artigli, ma io son già lontana.


mercoledì 5 marzo 2014

io, loro e voi, a nudo

Le mie radici affondano in anni di buio mescolati a sprazzi di luce da un amore smisurato per il gioco. Lo spirito è sempre stato quello di piantar semi a caso in tracce poco profonde e raccogliere non era l'obiettivo primario. E io emergo ogni volta inconsapevole della magia, mi levo su un paesaggio desolato e scarno, emergo da uno spazio immenso che mi strugge e m'atterra, intrisa nell'umore gelido che spira tra le scarne trame e posso solo aver voglia, di unirmi all'ondeggiante ballata, perché son ancora avvolta e confusa da inquietanti nebulose e sospinta e cullata dalla risacca. Il tempo, breve, di far capolino tra la spuma, uno, due salti in su, in giù, e tutto va via così com'era comparso, più rarefatto ancora, implode. Buco nero.


sì, è un disegno…?



Certo che so cos'è. È un continuo viaggiare attraverso sé stessi, il che può essere un'esperienza affascinante, ma anche molto dolorosa: un sacrificio enorme, privarsi di tutti gli inganni del quotidiano, di tutte le menzogne costruite ad arte per annegare la verità. Essere 'eterea', non essere una 'cosa'. Il tempo fornisce lo sfondo sul quale distendersi ed è la porta, a volte minuscola, a volte enorme, attraverso cui vado avanti e indietro, fuori e dentro. Esperienza oscura di straordinario intimismo, capace di proiettarmi in una dimensione quasi autistica, dove il mondo circostante diventa come eclissato da un sole nero, un male che non smette mai d'accadere e assiste a tutti, 'insetti in un blocco d’ambra'.

passo da Mattatoio n. 5, Kurt Vonnegut

In sottofondo tutto Dark night of the Soul, Sparklehorse

venerdì 7 febbraio 2014

rumore dentro

E non sanguino. Sarà un'illusione. No, lo sto avvertendo ancora, in questo preciso istante. Prima era debole e lontano; non identificabile la provenienza. Segue una pausa lunga. Poi si ripresenta. A ripetizione, più chiaro e prolungato, con conseguente eco, battente, impertinente, libero di assordare, privo di buona educazione e perciò da nessuno desiderato. Non è una buona musica. Non sono nemmeno parole lievi o suoni delicati. No, son tremiti improvvisi, cigolii sinistri, trilli estenuanti, voci segrete. Ma possibile che lo senta solo io? Questo fruscio di carta da lettera senza mittente. Un messaggio cifrato lasciato in bella vista, ma in brutta copia. Tento, senza esito, di farlo individuare anche a te. Ma tu pur in ascolto riconosci solo il suono della vuota sorpresa. Mi son persa tra i più forti, mormorio in mezzo alle urla, lamento solitario in mezzo alla moltitudine, elemosinante in mezzo alla folla indifferente. Sono in piedi sul ciglio della strada. Le strisce son scalini ora in salita, poi a scendere. Basso mi giunge un saluto dall'altro marciapiede. Eccolo. Mi attraversa. Mi lascia esanime. E se ne va. Senza corpo.


domenica 26 gennaio 2014

senso-nonsenso

Citami qualcosa della Nin. E perché dovrei? Non imparo mai nulla a memoria. Ma posso farti rivivere quelle parole. Son dentro me. Sono impastate insieme alla ragione, annotate dai sensi, evidenziate in maniera unica e inequivocabile, modificate, unite e separate, riprese e spostate. All'interno non riesco a controllarle, sono i dialoghi di personaggi mai domi, si rincorrono, scompaiono e riappaiono dopo anni; sono gli abiti velati che nascondono e sfuocano i tratti, le forme e le rotondità. Sbalordiscono anche me. Vorrei che le loro narrazioni fossero più precise, e per frammenti ci son riuscita, ma sempre più spesso difettano di spessore, precisione e profondità. Colano, sbavano, scivolano e io con loro, non posso spiegare gesti e scelte, non posso definire schemi e assorbire formule valide per prevedere il futuro. Puoi plasmarle, spennellarle, percepirne i contorni, attribuire loro significati sempre differenti. Io amo come vivo, per scrivere percezioni, per capire devo portare a galla il detto-non detto, il senso-non senso. Questa è la chiave per accedere al mio mondo, complesso e controverso, sfumato e fondo. Attingi, apri se riesci, recupera visioni e simboli sempre che non ti spaventi osare, scavare, toccare.





L'amore non muore mai di morte naturale.
Muore per abbandono, per cecità, 
per indifferenza, per averlo dato per scontato, 
per inanità, per non averlo coltivato. 
Le omissioni son più letali degli errori consumati.


sabato 11 gennaio 2014

mea culpa




Ho fatto visita a una terra popolata di satiri ed eunuchi. Fluttuano tutto il tempo tra sbornie psichedeliche e torbidi sentori di cupe liti, umori inquieti e austere pretese di incensamenti continui. Fascino esauritosi ormai. Come in passati traslochi ammasso, impacchetto il suggestivo, lascio l'utile, butto ciò che conta, quello che potrebbe restituirmi il tempo perso e rendermi la beata sensazione di corrispondenza e certezza. Non sarei io. La me persa e sedotta, stordita e cosciente, trascinata e con fatica assemblata in un quadretto a spigoli vivi, sospesa, non si sa come, perché chiodi non se ne ravvedono, fili nemmeno. Ho aperto forme e sostanza alle esperienze più diverse, spezzettate, mescolate tra le temperature d'altoforno, insaporite e mai filtrate. Un enorme calderone nel quale i pezzi piccoli o grandi fanno storia a sé o si annullano nei fumi e nel blend mistico. Riemergono, ma li spingo giù. Dopo tanto stordimento i corpi son tornati estranei, intrappolati in allucinazioni ed esperienze oniriche che non seducono più, anzi sporcano e freddano. Ce l'ho il coperchio stavolta.


C'è ancora qualche motivo di odio che mi manca. Sono sicuro che esiste.
Louis-Ferdinand Céline

bentornati Haxan Cloak