lunedì 3 maggio 2010

sedere da schiaffi



Ve la immaginate voi una bimbetta che nel 77 canta una canzone che dice:
… cara nessuna follia, andiamo via
via da quell'odioso garage…
scusa, scusa se ho portato anche lei,
ma mi si è attaccata al braccio, cosa vuoi…
giuro niente sesso, solo un po'…
resta vile maschio, dove vai

Io, in piedi sulla sedia, posizionata in mezzo alla sala da pranzo, invece di recitare il testo studiato con la mamma e l'amica calabrese Rita, colpevole tra l'altro di avermela fatta ascoltare, esordisco con questi versi e la Santa festa se ne va in malora, al diavolo. Non è stato chiamato d'urgenza il parroco per un eventuale esorcismo, ma alle zie (paterne) è venuto un accidente, e io sono stata etichettata come un incidente. Ma mio padre ha riso tutto il tempo e poi di nascosto nel cortiletto antistante la casa di campagna me l'ha fatta cantare tutta. Non che io mi sia spaventata della faccia burbera di mia mamma o di quella paonazza dei miei cuginetti o di quella ancor più odiosa di mio fratello che pronosticava già una bella scarica di schiaffi nel sedere… anzi, ne ho cantato un bel pezzo, fiera e curiosa, intonata e seriamente intenzionata a chiedere il significato di alcuni termini, a me sconosciuti, a mio cugino più grande di quindici anni.
Trent'anni dopo me la ricanticchio e capisco, non tanto il senso letterale o quello pruriginoso del terzetto o quello del profumo proibito, ancora selvaggiamente e oscuramente vietato e perciò così bello da scoprire, ma il valore della sua arte, il prezzo che deve aver pagato per quella sua satira tagliente, dello sberleffo nuovo e rivoluzionario che ha rappresentato Rino e altri come lui. Capisco me, così fuori, così diversa e sempre contro. Chissà che il mio posteriore possa dirsi così sodo grazie alle sculacciate? Grazie genitori. Solo con io, davanti a quello specchio, traduco ed elaboro il significato di tal essere scapestrata e riavvolgendo, riconsidero il rimprovero e la lotta, e mi guardo e mi rassomiglio a lui.
Forse non avranno concepito, non avranno apprezzato, l'avranno accusato di pressapochismo ed eccessiva sregolatezza, ma il pubblico ha amato e goduto dei suoi graffiati testi, appassionati contro i politici e a favore degli sfruttati. I geni del calibro di Gaetano vengono riconosciuti post mortem purtroppo, direbbe qualcuno, ma io dico no… il successo a volte porta fuori strada e non lascia un segno così indelebile. Le sue opere invece sono vere incisioni nel solco di un sarcasmo sempre creativo e mai volgare, perché reale e vita concreta, corpo, mente e note, uniti da un genio compositivo che sono sempre una conferma.
Oggi risento quei testi e li trovo così attuali, così vivi, intelligenti e ironici, divertenti e commoventi… lui era un cantastorie, vissuto e morto con gli stessi eccessi della nostra epoca, tra tensione e pace, anarchia e ordine, il suo era un paese surreale come il nostro di oggi, diviso tra passioni amorose e contraddizioni sociali, con la trama di un dramma, gli scherzi di una commedia e il finale non lieto di una favola.

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