Ha costruito tanti modellini, ha disegnato tanta scenografia di carta, dipinto tutte le mani dei trucchi spettacolari alla luce della lanterna magica, ha dato forma ai suoi sogni di bimbo, mosso mani che sembravano morte, acceso occhi che erano ormai vuoti, regge, sostiene ancora il tempo, vola la sua testa sulle linee di quel pentagramma, riavvolge e raggiunge l'equilibrio, sta per cadere di sotto, ma si aggrappa e si salva… avrai successo dice quella faccia, non ridere, non buttare l'umorismo, tienilo stretto, vedrai ti tornerà utile. Ora splende, ora si rabbuia, ora sorride, ora storce la bocca in un ghigno sinistro. Lancia un ultimo avvertimento: abbandona la nave, interrompi le battaglie marine, guarda sù, il mio bagliore ti renderebbe visibile a tutti gli aerei nemici, fermati e sali, sarai il primo uomo sulla luna, non credi che questo renda tutto il denaro del mondo? Attende un attimo, si guarda intorno, vorrebbe contestare la lunghezza del cammino, ma lei ha già soffiato una scia argentea su cui muovere i primi passi e lui… comincia a costruire quella sequenza mirabile e ricama metri di tessuto e monta il buco, taglia incolla sovrappone, riavvolge con pazienza e precisione, vieni, vieni, investi il mio occhio, apri la voragine e duplica il piacere, stappa e beviamo, gratta e raschia via la tristezza, stanotte non voglio ascoltar musica noiosa, non voglio guardare cortei nuziali. È cominciata. Inaspettata eclissi, lei davanti a lui, taglia, incolla, sovrappone, riavvolge con passione e dedizione; gira, ricostruisce il teatro di posa, si avvale di protagonisti inventati, sposta le nuvole, ammicca e invita al nuovo incontro attraverso l'impossibile: pieno, decresce, quarto, cresce, pieno… a risentirti.
lunedì 27 dicembre 2010
voyage dans la lune
Ha costruito tanti modellini, ha disegnato tanta scenografia di carta, dipinto tutte le mani dei trucchi spettacolari alla luce della lanterna magica, ha dato forma ai suoi sogni di bimbo, mosso mani che sembravano morte, acceso occhi che erano ormai vuoti, regge, sostiene ancora il tempo, vola la sua testa sulle linee di quel pentagramma, riavvolge e raggiunge l'equilibrio, sta per cadere di sotto, ma si aggrappa e si salva… avrai successo dice quella faccia, non ridere, non buttare l'umorismo, tienilo stretto, vedrai ti tornerà utile. Ora splende, ora si rabbuia, ora sorride, ora storce la bocca in un ghigno sinistro. Lancia un ultimo avvertimento: abbandona la nave, interrompi le battaglie marine, guarda sù, il mio bagliore ti renderebbe visibile a tutti gli aerei nemici, fermati e sali, sarai il primo uomo sulla luna, non credi che questo renda tutto il denaro del mondo? Attende un attimo, si guarda intorno, vorrebbe contestare la lunghezza del cammino, ma lei ha già soffiato una scia argentea su cui muovere i primi passi e lui… comincia a costruire quella sequenza mirabile e ricama metri di tessuto e monta il buco, taglia incolla sovrappone, riavvolge con pazienza e precisione, vieni, vieni, investi il mio occhio, apri la voragine e duplica il piacere, stappa e beviamo, gratta e raschia via la tristezza, stanotte non voglio ascoltar musica noiosa, non voglio guardare cortei nuziali. È cominciata. Inaspettata eclissi, lei davanti a lui, taglia, incolla, sovrappone, riavvolge con passione e dedizione; gira, ricostruisce il teatro di posa, si avvale di protagonisti inventati, sposta le nuvole, ammicca e invita al nuovo incontro attraverso l'impossibile: pieno, decresce, quarto, cresce, pieno… a risentirti.
mercoledì 22 dicembre 2010
a caso
lunedì 20 dicembre 2010
ci vorrebbe un'amica
mercoledì 15 dicembre 2010
bugiarda
Gli uccelli attaccano un chiasso atonale
non sincopato
da un albero all'altro,
canti di rugiada
le cui canzoni non hanno parole
da un albero all'altro
quando la notte si mette le sue lenti scure,
una su questa fronda, altre due là dietro.
- Le parole, come tutte le cose, colte nella loro finitudine.
Qui iniziano, qui finiscono
per quanto in alto si sollevino -
io lo so, e questo è il mio castigo,
e non amo mai nulla così tanto
da imprimere in me un marchio
e calarmi di colpo nella beatitudine.
Charles Wright
È una fase delicata. Uno di quei giorni in cui, quello che hai sempre desiderato è calpestato, quello che non avresti mai considerato si sta avverando, ciò che consideravi un cimelio da mettere all'asta non rende un centesimo, ciò che avresti venduto, appena acquistato, ti regala un sorriso a sorpresa. Sì ma mi diverto poco in verità. Ed è per rendere omaggio alla mia secolare indecisione che entro, mi guardo intorno, mi siedo cinque minuti, cerco nel menù qualcosa che mi piaccia, tanto ma troppo costoso, mi alzo, per niente a disagio, scivolo via e fuori alzo gli occhi all'insegna luminosa, smorfia di curiosità, come se non l'avessi mai vista. Questa è la scena mia preferita. Sembra un messaggio cifrato. Ma no, sei tu che credi che esista una comunicazione perfetta scritta. Io devo guardarti in faccia, cancellare ogni traccia di contraddizione, con una manata spostare tutti i fraintesi, evitare che si corrompa ogni utilizzo di inflessione, stabilire un rapporto stabile tra parola ed espressione, una convergenza e concordanza di codici di comportamento… voglio una pacifica ricezione di ogni tuo gesto. Ma se riesci ad essere talmente infida e oscura che nemmeno tu, rivedendoti, saresti in grado di riconoscerti! Oh, però ti diverti!
Sei il termine ultimo di un processo mistico. Metto fine alla serie di presagi e prendo posto insieme all'assoluto. Sostituisco ogni forma aliena, ti rendo fedele, enigma affascinante, unico scopo della vita, ma io avvolta dalla nube dell'incertezza, potrei in una sintesi suprema presentarti una o due, al massimo, ipotesi possibili relative alla natura del nostro amore, io incarnata e finita. No rinvio, ritrovo il mito, la metà di me non esiste all'infuori di me, nello slancio a possedere una verità potrei indebolirmi e perdere, sul serio, l'unica aspirazione, vera… alcune per anni, altre per un giorno.
Soltanto le cose inerti non aggiungono nulla a ciò che sono… la vita è il romanzo della materia.
lunedì 13 dicembre 2010
scomparto mente
giovedì 9 dicembre 2010
lo-fi
lunedì 6 dicembre 2010
sconsacrata
giovedì 2 dicembre 2010
con dedica
martedì 30 novembre 2010
ombre
…
Ci soffocavano i lamponi che, bisbigliando,
spiccavi, e il nostro bisbiglio tacque nell’aroma
solo quando con le labbra colsi dal tuo palmo
i frutti che il profumo del tuo corpo intrideva.
Divennero i lamponi strumento di carezze
le prime, le più stupite, che nel cielo intero
altre ebbrezze non sanno, che non siano esse stesse,
e nella propria stranezza vogliono ripetersi.
Poi non so, com’è stato, né in che palpebrare,
hai sfiorato col labbro la mia fronte sudata,
io ti ho preso le mani - me le hai date, raccolta,
in quel persistere intorno, denso, dei lamponi.
Bolesław Leśmian
mercoledì 17 novembre 2010
Are you dead?
venerdì 12 novembre 2010
L'avrei saputo…
Perché non cominci la distruzione - rispondono. E richiesti se temono che appena tolte le impalcature la città cominci a sgretolarsi e a andare in pezzi, soggiungono in fretta, sottovoce: Non soltanto la città. Se, insoddisfatto delle risposte, qualcuno applica l'occhio alla fessura d'una staccionata, vede gru che tirano su altre gru, incastellature che rivestono altre incastellature, travi che puntellano altre travi. Che senso ha il vostro costruire? - domanda. Qual è il fine d'una città in costruzione se non una città? Dov'è il piano che seguite, il progetto? Te lo mostreremo appena terminata la giornata; ora non possiamo interrompere - rispondono. Il lavoro cessa al tramonto. Scende la notte sul cantiere. È una notte stellata. Ecco il progetto - dicono. Sto esplorando, ho tracciato la rotta su un foglio a quadri, ora i segni si confondono, ma è lì, non vedi? Io sbircio qua e là, a volte mi basta uno scorcio ed è mia, quella visione. Era una vecchia cartolina sulla quale, bimba, avevo scarabocchiato, me, papà, mamma e Giando. Su quattro piani differenti. Ai confini del mio impero. Affiora e la rintraccio. Ed è così chiara e triste, ché quasi piango. Ci ho giocato così tanti giorni, minacciando tutti in incubi e maledizioni: non la toccate, ch'è così bella, tonda e stretta. Ci torno spesso, ormai. Sembrava non interessarmi, è in fondo, come l'ultimo appiglio, una spirale che mi risucchia nella corrente infernale, un vento che sfoglia e spinge in direzione non più propizia. Avrei voluto far spazio a qualcun altro… qualcuno da riconoscere in tanto chiasso, qualcuno da cercare e trovare in così grande rischio. È diventato raro e innocuo l'inferno. Cosa dovrebbe essere questo? Paradiso? Deve proprio assomigliargli tanto. E io nascondo bene la sorpresa dietro il neo alla mia sinistra e le lacrime dentro la seconda ruga a destra, archiviato proprio sotto il discorso segreto, l'ultimo, non ultimo, povero mio lobo in fuga verso altre possibilità esistenti. Mi appoggio esausta al muro. Mani sulla fortezza pensata e occhi su quella vera. Avrei dovuto imparare a far la sfinge molto tempo fa. Insegnare ad altre le regole, gli inganni, gestire desideri e sogni, costruire domande e risposte, demolire coincidenze e sospetti. Io non so, se basteranno queste mura a contenere tutti gli scontri, a cacciare o ad accogliere, a sostenere o ad abbattere, a proteggere o a intimare la resa. Avrei potuto individuare i punti deboli, affrontare le nuove resistenze, fuggire le vecchie congetture, seguire il principio e assistere alla fine, entrare, perdermi, girare, ecco l'uscita, la vedo, ne vengo fuori, la guardo dall'esterno, non la riconosco all'inizio, poi apro bene gli occhi, l'abbraccio tutta, la stringo a me, che non vada via, che non mi allontani troppo, sovverto, caccio un urlo, mi poso, distesa su un lato a contemplarla e ad accarezzarla… anche le città credono d'essere opera della mente o del caso, ma né l'una né l'altro bastano a tener su le loro mura, d'una città non godi le sette mura o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere… le città non sono altro che la forma del tempo. Non lo sai?
mercoledì 10 novembre 2010
umorale
lunedì 8 novembre 2010
hypnotist
venerdì 5 novembre 2010
sotto e sopra
È stato un attimo. Una frazione di s e c o n d o ! si dice così no? Notte-giorno. Buio-luce. Basso-alto. Uomo-animale. In quel poco, insomma, ho capito, svegliandomi di soprassalto, era stato tutto un sogno. Al diavolo. Il fatto è che ero lì lì per toccarlo. Ero angosciata, madida, ma ne valeva la pena. Ora mi rimane un peso, un tormento, e sono anche peggio. Mi sono ammalata di sogni. Anche quando incombenti e tormentosi li preferisco al risveglio e al mattino con le sue regole e la luce. Ordine e pulito. Rivoglio il caos e il buio. Bramo dal desiderio di ritornare a sprofondare in quel selvaggio profumo, divincolarmi tra le lenzuola fino ad annodarmici dentro, lottare con le assi del letto, farlo cigolare forte in un convulso moto ondulatorio e sussultorio che percuote e solca e sopraffà ogni volontà crollandola e franandola in segreta remissione. Sarà che ho ricominciato a fumare… può darsi. Sbaglio sempre direzione. Il fumo in spirali mi avvolge e mi fa inconsistente ed evanescente fino a perdermi nell'aria che mi circonda, mi adatto e mi ci mescolo. Ecco lo rivedo, io docile, lui, impetuoso, mi raggiunge e mi bastona fino a gambizzarmi, ma il mio spirito indomito non rimane inerme, ragiona, si conserva e non cede. In quel tempo sospeso, non è più lui, non sono più io, seguo con le dita i contorni indefiniti e grazie ad essi, confini non delineati, linee non confinate, mi libero in fragranze avvolgenti, ammiro, indistinta e inattesa, una bellezza che non mi sbaraglia e non mi governa. La affronto tranquilla, mi prostro e mi rialzo, sfumo appagata, destandomi nel grande dormitorio del mondo, come se tutti, le piante, le bestie e anche gli esseri umani, esalassero i loro segreti e i loro sospiri.
martedì 2 novembre 2010
no satisfaction
giovedì 28 ottobre 2010
eccesso di compagnia
mercoledì 27 ottobre 2010
Offro
lunedì 25 ottobre 2010
sfoglia…
venerdì 22 ottobre 2010
metamorfosi
mercoledì 20 ottobre 2010
la luce
Il ragazzo si china, allunga le mani che passano attraverso il soffice del cirro, preleva la bianca sfera, la solleva e me la porge. Che bella! dico io - non avevo mai visto così tanta luce, e mi rimetto in marcia. Dietro, lui si raccomanda: la perfidia potrebbe ritorcersi contro di te, abbine cura, è solo un simbolo. Ma io me ne dimentico ben presto. La infilo alla sommità del bastone ricurvo e la mostro, come se fosse lo scettro. Ho un gran sonno, mi corico alla base delle rocce e m'addormento. Al risveglio non ho più la vista. Allungo la mano e lo tocco. È lì, ma io non posso più vederlo. Avrei solo voluto che tutti beneficiassero di tutto quello splendore, urlo a me stessa. E invece mi ha accecata per sempre.