lunedì 31 gennaio 2011

s o s


Spenta, Oppressa, Solare… Sospesa, Offerta, Sopita… Sospiro, O, Svanisco. Delicata, garbata, elegante, ma non m'accuccio. Ma non era l'esordio che mancava? Non riesco a gridare al miracolo, non stupisco e continuo a salire per quelle scale, giù il tentativo di far festa, di volare al di sopra delle prove, dell'obbligo, dei divieti. Incelofano tutto in maniera approssimativa e mediocre, faccio dei fori omogenei perché continuate a soffiar fuori l'eccesso di moralismo becero e soffocante e prendo il volo. Plano un po' sulle vostre vite, mi arrampico sugli entusiasmi, mi siedo a vegliare i sogni, registro e suono come un vinile diavolo, e brucio, asfissiando, i sempliciotti che siete. Io, tu, noi, ci siam divertiti, ignorandoli o facendo finta che non esistano, negli eccessi e nella forzatura, nei privativi e nell'oppressione, ci siam convinti, esistono e stanno sopra, svettano e ci schiacciano, firmano per nostro conto l'ipoteca e il fallimento. Quale sagrada familia? Indovino la soluzione e la consegno in cartolina, mittente sconosciuto, indirizzo da convalidare. Gli interstizi hanno assorbito tutto, le chiavi non conoscono più la serratura, la colla degli adesivi trasborda e insudicia il colore della mia presunta purezza. Scosta quelle tende, oh, no, richiudi, non rivivrò, serra quelle porte, non lasciare uno spiraglio, manda giù, tira sù, recidi, respira vita… svelti, vi aspetto.

La morte di un uomo è come la caduta d’uno stato potente,
che possedeva eserciti prodi, capi e profeti,
e ricchi porti, e bastimenti su tutti i mari,
e ora a nessuno correrà in aiuto, con nessuno stringerà alleanza,
perché le sue città sono vuote, la popolazione dispersa,
il cardo ha ricoperto la sua terra un tempo doviziosa di messi,
la sua missione dimenticata, perduta la lingua,
dialetto di un paesello lontano su inaccessibili monti
Milosz Czeslaw

giovedì 27 gennaio 2011

primi vagiti


Freddo, caldo, freddo. Ho affondato le braccia, fino al gomito, nello sconfinato nostalgico mio abbandono. Ho urlato e pianto fino a liberarmi anche dell'eco che vagava indisturbata nel mio spazio interiore. Chi diavolo le avesse dato il permesso non ho mai saputo. Di certo non io. Son abituata a gettar via tutto ciò che non mi serva più, quello che mi dia noia. A testimoniarlo l'oscillazione della catapulta davanti alla mia finestra. Fuori tutto. Fori dappertutto. Ora m'adagio e calo il sipario. Sei lì a chiedermi l'autografo? Ma la mia mano si fa inafferrabile e raramente si accontenta della gratitudine. Urgente si fa l'emozione, lampo a rincorrermi giù dagli scalini, dentro ai corridoi. Indelebile dono, sogno di sintesi, rarità timidamente esibita, sincera affermazione tra i grandi. È l'opera prima, frutto del montaggio e dello slittamento di immagini sfocate o chiare, dormiveglia riassunti in un titolo, posizione fetale ed iniziale interiorità dell'inconscio. Resa condizionata: dono della sintesi contro originalità in dote. Si può cercare disturbo e plagio, ma in nulla riusciranno essi al cospetto della pittorica intimità dinamica e sconvolgente: spiccava sull'oceano della nursery, né rosa, né azzurro, ma viola intenso e fluttuanti calzini a righe verde squillante e rosa fucsia, alla faccia dell'immobilità dolente, ansiogena e strisciante della regola della moda e della scaramanzia. Realtà irrequieta coi ricci neri neri, concepita e definita amabile, punteggiata di ricordi e scorribande, in continua lotta, evoluta e oscillata fantasia, come sonno disturbato, potenza onirica troppo a lungo soffocata, debutta in società buttando gambe all'aria critici e fastidiosi ammiratori.

quant'è facile passar dall'io al lei…

sabato 22 gennaio 2011

cicatrice

Ora che il coro delle coturnici
ti blandisce dal sonno eterno, rotta
felice schiera in fuga verso i clivi
vendemmiati del Mesco, or che la lotta
dei viventi più infuria, se tu cedi
come un’ombra la spoglia
(e non è un’ombra,
o gentile, non è ciò che tu credi)
chi ti proteggerà? La strada sgombra
non è una via, solo due mani, un volto,
quelle mani, quel volto, il gesto di una
vita che non è un’altra ma se stessa,
solo questo ti pone nell’esilio
folto d’anime e voci in cui tu vivi.
E la domanda che tu lasci è anch’essa
un gesto tuo, all’ombra delle croci.

Affezionato a quest'idea. Sei andato così. Un grande respiro, una parola fermata sulle labbra, scivolata giù sulla federa bianchissima, tesa, come tanto ti piaceva. Ma stavolta ha lasciato intatto il silenzio tra me e te e ha viaggiato, insinuandosi tra le pieghe della grande trapunta, incrociando i pupazzi di neve ritratti, candidandosi come una delle più belle favole, quelle che iniziavi e alle quali dovevo trovare il finale io. Convincevo tutte le platee, l'ascoltatore improvvisato e quello più esigente. Mi destavo e mi riaddormentavo. Che grandi storie avventurose, a volte per nulla rassicuranti e non riuscivo a trattenere il tremito, ma continuavo nella descrizione sofferente e crepuscolare, solo per farti sorridere e stupire. Quando ho cominciato a non chiederti più il bacio ben augurante, a quanti anni non ho più corso ad abbracciarti, quanto pesavo l'ultima volta che m'hai presa in braccio e m'hai adagiata e m'hai rimboccato le coperte? Posso rinnovare ora quella vibrazione infantile, posso ricomporre quella trama interrotta, posso posare la mia mano sulla tua e restituirti tutta la magia e la delicatezza del tuo afferrare e stringere lontano dal pericolo? Oh, quante domande che fai. Come quand'eri poco più alta di così. La mano poco più alta del bordo del letto. E non riesci a trattenere il tremito. Mano grande, enorme, nella quale la mia entrava per tre volte. Il pretesto giusto per fasciarla, cingerla, sovrapporla, spalmarci sù un lieve accento di filiale amore, contaminazione grave o acuta, la firma a un biglietto nel quale ti auguro buon viaggio, tanto ancora da esplorare, ti scuoti e mi regali una tua eccellente performance: guarda, qui, e le orecchie seguono il ritmo dell'ultimo scherzo.


al papà

mercoledì 19 gennaio 2011

la donna che visse due volte


Hitchcock, Godard, Hawks, colleghi cari des cahiers faccio un falò, alto e imponente, darà luce al mio oscuro mondo. Sei pazza? Non ricordo nulla. Immagini slegate e confuse, idee riorganizzate ad episodi da una quindicina d'anni a questa parte filmano con una perfezione unica una storia incredibile. È frutto di provocazione questo mio messaggio, mai innocuo, mai debole. Mi sottopongo a terapia con continua ricerca di forma, di modello, ma nulla riesce ad estrapolare, vero mister Piccolì? Il significato rimane nascosto. Io riesco a toccare i confini della follia e ritorno indietro, più elastica e scandalosamente sovrapponibile. Apri, scoperchia, guarda dentro, che vedi? Tira fuori. Centinaia di metri e metri, e chilometri di pellicola, in alternanza pagine e pagine, scritte fitte, riconoscibili, sì, ma sempre espandibili, ricomponibili, poco strutturate, disperate alcune, altre proibite per eccesso di ottimistica vitalità in un'era in cui faresti bene a veder nero, e poi gioire nel caso si aprisse uno spiraglio chiaro. Non risparmio, non tolgo particolari, non trascuro di dissacrare, sconquassare, e monto al contrario, registro i contrasti e li accentuo, colori in contraddizione, colonna sonora infinita. Usare suoni ed immagini come unghie e denti su cui graffiare. Che vita sarebbe senza tinte forti e musica destabilizzante? Scardinate e trasfigurate forma e materia. Mi auto-dedico un pezzetto di impossibile, lo affiderò al tempo e chissà, forse riuscirà a ricomporre l'intero seguendo un itinerario immaginifico, in una parola: emozione.

"Io non invento niente, leggo molto. La mia originalità, e il mio fardello, sta nel credere che il cinema sia fatto più per pensare che per raccontare storie" (J. Godard).

lunedì 17 gennaio 2011

illeggibile


Fuori dai Crismi! :)

Disobbedisco. Diserto. Troppo difficile. Rumorista, fascinato, legittimo depositario di linguaggio sincretico ho sempre creduto nell'immediatezza della comprensione o nell'avanguardia incomprensibile. Sommariamente: sono alla deriva del tuo ordine, repello il sistema, escludo a posteriori la mia partecipazione a tutto ciò che riguarda il controllo mentale e il complottismo al servizio dei regimi assoluti, e mi abbevero alla dissetante alta cultura del partigianesimo viscerale e spontaneo, quell'originale commistione che dà vita a codici, due linee, un punto, tratto lungo, tiiii-ta-tiiiii. Io giro, giro, svolgo, ruoto, sposto, ma nessuna mia faccia coincide con le tue, maledetto cubo di rubik, stavo veleggiando tranquilla, quando tu hai preso quell'aggeggio infernale e hai cominciato a giocarci, ma non è un passatempo, e io ora sprofondo tra gli interstizi, nel liquame in devoluzione, nelle tue continue provocazioni oscene. Fai cassa di risonanza di questi paesi in guerra, e io un giardino sconosciuto, profondo, nello spirito antagonista, solitario, sempre in divergenza di opinioni, mi ci chiudo, e riapro il misantropico vialetto ghiaioso, via, uno strappo di vite: salta la polvere rugginosa del retaggio antico e puzzolente di stantio. Proiezione pura, scandisce il ritmo, si fa intelligibile, si esibisce in tutta la sua luminosità, intinge nell'espressionismo e dipinge ottimismo sovrapponendolo a dense pennellate su noia e cattiveria, canta forte come carica, a coprire la marcia militaresca, facendo a brandelli le atmosfere plumbee e pesanti, rumoreggia e sconnette, che buffo è il suono del carro armato che procede ebbro. Si deve attendere. Non potrebbe essere ora? Pazienta. Il tempo è galantuomo. Sì, gli strizzo l'occhio. È anche stanco morto. Pur contempla il mondo di quassù, bello e innocente, suggestione e sangue, attraverso quello squarcio, l'ultimo regalo dell'urlo marziale, sconnesso e orrendo, ne ha smontato un pezzettino e giace in una discarica radioattiva. Montatura senza vetro destro, sinistro scheggiato. Alienato, come in una stanza imbottita d'ovatta, centro e confine frastagliato, scudiscio e abisso dimenticato, c'è sempre un muro spesso e alto che sprigiona un tanfo di cadavere putrefatto. Guarda oltre. Rassegnato, impregnato di tensione e inquietudine sembra confuso sulla direzione da intraprendere. Troppo rumore, eterogeneo e pericolosamente interrogativo. Basterà che abbandoni l'intento come concepito e pianificato, sarà sufficiente scucirsi di dosso quel distintivo incompiuto. Avanti, solo profumo di croco e mughetto nella mia aiuola, solo chiare venature di panni stesi al vento, giochi di bimbi con berretti diversi, solo un abbozzo di pace, lancia l'amo, vedrai che abboccano.

venerdì 14 gennaio 2011

dietro il dito…


Magistrale dote, grande sensibilità, anima grande… supremo stile, fini capacità… shhhhhh… il mio ricordo è rivolto a un mattino in cui non avvertivo alcun rumore, nessun suono, nemmeno una frenata, neanche un rombo. C'era un silenzio assoluto che descriveva in maniera suggestiva la serenità e la percezione assoluta di un mondo diverso, ormai perso. Non immaginavo allora che quella sensazione sarebbe stata l'ultima, poche le occasioni di assaporarla nuovamente, abile la mia mente va, si appisola e si risveglia, dolcemente posata sul freddo guanciale, disarmante e consistente, come solido tocco, rosso e caldo tondo della gota sull'abbagliante panno. Colgo l'essenza intima delle cose, dei passi mossi fuori dal letto, emozione infinita e definita di impareggiabile bellezza e con gli stessi occhi guardo orgoglioso allo specchio della natura, poggio come allora lo sguardo ancor celato dalle amorevoli ciglia del sonno e vengo rapito dal bianco contorno… la sua pelle era bianca come appena uscita dal bucato. Chi ha lanciato in corsa il convoglio? Chi ha posto tra noi tutta questa lontananza? Dovrei rubare dei momenti e scandirli col colore delle stagioni, dovrei trascorrere e appassire senza che il tuo sentimento possa suonare le canzoni che tanto mi piacciono e m'intrattengono? Abbasso la testa e pago il caro prezzo, un sentore di tristezza mi seppellisce e cristallizza le tue ali in continuo moto, le cucio e le saldo al tessuto fluente, i fili rimangono lenti, pronti e pazienti, ecco, le tue dita scorrono e pizzicano corde dimenticate, feconda terra da macchiare e bagnare. Non ho il coraggio di guardare la tua tagliente bellezza, un riflesso mi colpisce e mi toglie la vista, trafitto e devastato. Lavo la bocca e tolgo il sapore nostalgico, mi guardo la mano, ho coperto la realtà semplice e pura, ho contemplato l'inesistente, sei qui, apro il varco e ti raggiungo. Tanto bianco, troppo buio.


Le figure e lo sfondo non avevano alcuna affinità tra loro, e lo sfondo, vago nell'oscurità, si mescolavano in una specie di mondo simbolico, ultraterreno.

martedì 11 gennaio 2011

chi vorrei…

Adempio all'impulso nuovo. Parto dalla parolina che solo qualche volta misi sulle labbra mie. Mi allargo pian piano, compio l'esercizio inverso di pronuncia del termine tanto potente, tanto prestigioso, tanta… son brava, dilato oltre l'inverosimile la penultima sillaba e mi sostituisco, essere unico e multiplo, all'ultima tua risposta all'eterno quesito nell'intenzione di renderlo un concetto alto, platonico, profondo; sì che ci riesco, sto attenta a tutte le contraddizioni, ai tranelli, agli ingorghi, all'amaro in bocca, all'enigma terribile, alla scommessa consegnata, alla promessa mancata. Rimani in disparte, pur volendo incarnare fisicamente l'ipotesi finale e la risposta ideale. Riponi tutte le speranze e rinvii a nuovo azzardo, concretamente, che cosa potresti fare? Tieni separate l'illusione delle mie aspirazioni e la concretezza delle mie risorse now's the time! Troppo elegante il pezzo per quel che ho intenzione di farti. Recupero le forze e m'allontano la distanza necessaria per prendere la rincorsa e affondare il colpo, i fendenti, tanti, smembro e contemplo, una grande orchestra dalla quale attingo a piene mani estremi e impressionismi. T'ho cercato tanto, non posso lasciarti scappare; la richiesta di affetto, devo nutrire, senza riserve e privazioni, la mia ansia ragionata, riprendendo il rito e adattandolo. Devi esserne persuaso: dopo lo stupefacente thriller appena girato, l'equivoco dei segni, la confusione dei sensi, dei colori forti della pelle incisa e del tuo sangue, ti proporrò una scelta ad occhi bendati e mani sul fuoco. Non assistervi, fai leva su quel muro, accettami e salta con me com'io con coraggio precipito insieme a te.

La bellezza sarà convulsiva o non sarà.

venerdì 7 gennaio 2011

resa dei conti


Avrebbe potuto essere l'impossibile. A tutti sarebbe apparso come il paradosso. Immaginate una linea retta che congiunga due punti A e B. Pensate a un percorso. Pensate a un sognatore che dal punto A desideri raggiungere il punto B nel minor tempo possibile, evitando traffico e intasamenti, semafori e inquinamento. Il desiderio, l'anelito d'esser freccia che percorra una distanza infinita in tempo finito. Tale rimarrà. Sogno. Perché forse quell'uno dopo innumerevoli prove, tantissimi rompicapo, raggiungerà la sua meta? Applicando il meccanismo del continuo inseguimento dell'oggetto impiegherà tempo infinito. È un desiderio inesaudito. Ma nel tragitto, viaggio lunghissimo, godrà della vista di bellezze indescrivibili, luoghi rimasti incontaminati per decenni. L'oggetto, das ding, l'operazione impossibile, meglio sarebbe stato non cercar nemmeno di descriverla, ma rimanere in silenzio, quello sì estatico al cospetto di tanta grandezza, tanto infinito, tanto nulla, tanto vuoto. Nella continua rincorsa al migliore, all'eccesso, alla sproporzione, al sofisticato non si riuscirà a incontrar mai l'oggetto desiderato, a vivere l'esperienza di confine. O forse sì… ma a quale prezzo? Il richiamo all'istinto e alla bestialità segna in maniera inconfondibile la rottura con l'ordine culturale verso un ritorno al primitivo, all'originario, il segno dell'oltrepassare il limite, dell'entrata nell'altro. Imparare a morire, a giocare… il giocatore autentico è colui che mette la sua vita in gioco e il gioco vero è quello che pone la questione della vita e della morte. Giocare d'anticipo. Sospendere momentaneamente l'adesione alle cose, uscire dal viluppo di interesse con cui esse si impongono. Giungo ora a B, corrisponde al lato opposto, in cui ero, A. Presenza concreta nella quale mi disperdo. L'ho tanto desiderata. Ma dev'esserci stato un fraintendimento. Non era così… no.

martedì 4 gennaio 2011

il paradiso perduto


Non capisco la domanda. E non ho alcuna intenzione di raccogliere l'invito. Sono in piena di nero. Signora dell'oscurità. Non disponibile, non raggiungibile. Ho come l'impressione che le eccessive spiegazioni possano spalancarmi sotto i piedi una voragine enorme. Troppo larghi e lunghi per riuscire nell'equilibrio già precario. Sento già che vi precipito, forse un pochino troppo felice. Sto per andar sposa a un principe che mi riempie di regali e ho la sensazione che non mi veda. Padre, guarda e tocca le gemme che ha portato in dono, nulla hanno a che fare col colore dei miei occhi, con la sfumatura dei miei capelli, macabro rituale sulla mia pelle ebano. Rubini abbaglianti, spie luminose e intermittenti di una dissonanza che mi soffia sempre più lontano, come un vento di scirocco insopportabile a propulsione balbettante che mi modula a suo piacimento, e ripete il nostro distacco, da noi stessi, dalla verità, dal piacere di stare insieme; come una miriade di stelle e di anni luce nei quali vago incerta… e in fondo una voce che declama il primo e non unico sintomo del ritardo, del mancato appuntamento, della decadenza, della devoluzione. Non la prendo, no. L'avevo già presa tra le mani, ne avevo sentito la buccia liscia, pregustato la croccante e succosa polpa. Al diavolo. Potrei correre il rischio di scoprire che non è proibito. Ma non la coglierò. Risparmio a me e a voi la noia del rimprovero e dell'accademica cacciata. Lascio coagulare la malsana curiosità e la gratuita delusione, raccolgo il pestato e caotico finale astratto e schizoide e mi lascio fumare, dopo il lungo calvario di lamentele e lo sfacelo della lobotomizzata e rattrappita vita all'ombra del grande albero dell'esperienza altrui.