sabato 30 aprile 2011

riflettori


Ma sei troppo giovane. Non sei arrivata. Ne devi fare ancora di strada. Ma possibile che sia regola? Io voglio esser eccezione. Bastevole a se stessa. All'emersione di una sorpresa, di una novità si pensa subito a trovar somiglianza, con un pizzico di vecchia perfidia, si cercano punti di contatto, si studiano eventuali analogie come ad ammirare la copia di un celebre dipinto. No. È tutto originale, sono io. Alle aridità della vita contrappongo sogno e sorseggio un balsamo che dia pace e calmi gli eccessi di tosse, i latrati che ammutoliscono la fantasia e l'identità e lo stile. È un afrodisiaco, è una camomilla, è un digestivo, è un brandy ad alta gradazione alcolica si lascia bere seduti di fronte a un bel fuoco; riscalda il bicchiere e scaldati il cuore prima di ingollarlo, potresti rimaner strozzato o vorresti averne ancora, ancora… Difficile, impossibile, you can't run and hide… blind. Pensa a salvarti da solo o se vuoi, veramente, raggiungimi. Impara ad amarmi. Impara a tenermi la mano mentre balliamo questo sogno, muovi i piedi insieme a me, sussurrami una carezza, soffiami il battito, cosicché io lo assimili al mio. Smetti di farti pubblicità. Quelle insegne luminose non hanno senso, sono allarmi fastidiosi, i tuoi stupidi lamenti lampeggiano ma lasciano buio. Got to be slow. Simple to talk about love. But I want to know. Ecco cos'è. Miele dorato o bruno che fluisce morbido, affilato o denso, scorre e placa, malinconico si perde sulle ciglia pesanti e si distende sugli occhi di ghiaccio. Tac… si dischiudon teatralmente le valve e carica di promesse si consegna al mondo, perla nera in corpo bianco. Falla finita. Hard coming, love… coming, love.

Passi tratti da Hard coming love - The united states of america

a tutti coloro che se la menano… (inteso anche in vernacolo), lamento o auto-infliggimento pene!

mercoledì 27 aprile 2011

A.A.A. cercasi


dopo decenni di confusione, caos, esperienze atipiche, furibonde lotte col sub e tragico inconscio ancora un sacco di animali da incontrare, nulla sempre più incombente, traslochi di cuore e sempre sempre più di prima cervello dissociato, disoccupato, ingannato, illuso e rubato. Inutile dire: da domani si cambia. Tutte cazzate. Continuo a sbarellare. Un'auto color cielo percorre le strade di questo mondo. Dal finestrino socchiuso vien fuori un urlo spaventoso: delusione solidificata e aerea che si scontra e rimbalza, rinviata al mittente senza ricevuta di avvenuto ricevimento, l'indifferenza è così indifferente. Ora le telefono. No, meglio andar là. Sarà abbastanza allucinata da leggermi e fare una veloce sintesi. Ma c'è qualcuno che sappia metter ordine? Uno qualsiasi che organizzi e dia corso a orientamento e segnaletica su sofferenza e pena. Voglio i dettagli. Voglio il miracolo. Una zolletta di solubile comprensione da sciogliere nella vasca, insieme ai sali per rinvenire, micidiale, faticosa vita, quale altro sacrificio pretenderesti perché mi sia concessa la tanto agognata salvezza? Non risponde nemmeno al telefono. Non lavora nessuno in quel maledetto ufficio? Case, cucine, letti, divani, tappeti, lavatrici. Entra pure. Si dà inizio al rito dell'accoglienza. Io sto fuori. Come un balcone. Ora vado a prendere il cobra. Chiedo a lui. Lui sa come captare i messaggi subliminali, diretto e veloce. Voglio sentire quel che ha da dire. Se capisce, se vuol fumare. Quello guarda la tele. Mano diritta e rattrappita mentre sgranocchia qualcosa. Chi? Chi muore non ha neppure un nome.

giovedì 21 aprile 2011

s'accolla


Lo faccio spesso. È un gioco non molto avvincente, ma una passione e un continuo spunto. Ho una duplice passione: ornitologia e musica. Note e migrazione. Si somigliano, son modulate, raccolte e posate su fili talmente sottili che ci vuol poco e via han già spiccato il volo. Lasciano tracce qui e là. Istinto e mistero. Io offro supporto e tana. In obliquo convivo disinvolta con classico, lento, veloce, imprevedibile e tutto da scoprire, escludo a priori le sterili classificazioni, e ritrovo, ugualmente, una omogeneità di contenuti e identità, derivante dalle sfumature che scolorano, evidenziando affinità e sapienti intrecci.
Nel radar ho già intravisto il segnale lampeggiante. Sta a indicare il passaggio di uno stormo in movimento. So già che, tempo pochi minuti, alcuni esemplari colpiti a morte precipiteranno sugli alberi spogli nel mio giardino. Alcuni son già planati bassissimi, avvisandomi, dell'imminente tragedia. Sono stata sempre una perfetta riserva: sapiente e saggia sporta di consigli, distribuiti non a piene mani, ma con parsimonia, perché si sa, bisogna far sentire la presenza costante, ma bisogna anche saper essere necessarie. Lui è lì, in una pozza di sangue. Piumaggio strapazzato, coda mutilata, zampette straziate.
È difficile salvarlo. Sarebbe più saggio tirargli il collo e non farlo soffrire oltre. Certi uccelli godono delle squisite maniere degli abitanti di alcune terre, e nonostante l'abitudinaria fine alla quale vanno incontro, amano tornare, indugiare fluttuando nel cielo azzurrissimo e scherzare sulle onde sferzanti dei luoghi natii. Le rotte potrebbero esser cambiate, gli istinti dovrebbero esser disciplinati, le sensazioni inconsce dissuase e manipolate… ma è più forte, più potente. Ed eccoli, ogni anno confermare e partire, affrontano mesi di interminabile viaggio sospeso e guidato dalla corrente verso le agognate mete. Arriva la primavera, ma dalla varietà di modulazioni e suggestive note effettuo una povera raccolta: esserini privi di vita, colpevoli delle proprie illusioni, vittime delle proprie delusioni.

venerdì 15 aprile 2011

profezia


se allora si chiedesse dove la tua bellezza giace,
dove tutto il tesoro dei giorni caldi di vigore,
dire: nei tuoi propri occhi infossati profondamente,
mostrerebbe con indiscreta lode, ingiuria implacabile. Shakespeare… rivolto a me. Io non gli credo. Quanta miseria e grandezza han segnato quelle labbra? Allora quando quaranta inverni faranno assedio alla tua fronte… io aspetterò l'altro per rasserenarlo, lo legherò alla testiera del letto per fermare gli anni che scorrono, gelosa io della mia stessa gelosia, braccia e gambe strette, perché smetta di torturarsi con altri amori e di cantare altri sonetti, perciò l'amore non è infinito, né il pianto, né il riso, né la fretta, mai la tua partenza, né l'arrivo alla porta aperta. Io in agguato ad ogni rumore, tu, stanco, pretendi silenzio, lavanda in ogni cassetto e candele sulla cornice del davanzale. Senz'alcuna meraviglia, tornerai a girarti e rigirarti, sul grande materasso delle eterne necessità, le mani fredde e le tempie rosse, mi vedrai vecchia. Sì, son vecchia dopotutto. Mi guardo, sogni irrigiditi e speranze gelate. Mi sento tradita, avvolta in pesanti coperte di vetro, esposta e ignara, fragile e cupa. M'addormento di quel sonno indurito dal freddo, imboccato dal buio. Ce n'è ancora un pezzetto, finisci la torta e butta la ciliegia.

dal 2008 (Milano - Dicembre)
Sonetti di Shakespeare
traduzione di Giuseppe Ungaretti

giovedì 14 aprile 2011

sali-scendi



Ogni inizio contiene una magia

che ci protegge e a vivere ci aiuta.

Appena ci avvezziamo ad una sede

rischiamo d'infiacchire nell'ignavia:

sol chi e' disposto a muoversi e partire

vince la consuetudine inceppante

Quando la vita chiama, il cuore

sia pronto a partire ed a ricominciare



ohhhh! che fai? sistema le reti, ora cominciano a cascare, non vorrai che si perdano? Ho quasi finito e ti aiuto. Fammene tirar giù ancora. Le ultime parole pronunciate. Le ultime immagini vive. Il colore e il suono di una montagna. L'ordine e la scelta del movimento. Il più grande panorama mai visto. Era l'applicazione di un concetto, lo svolgimento di una formula, la specificazione di un teorema, nome e cognome dati a una dimensione precisa, semplicissima. Lavoro + Amore = Legge di Vita. Le sfumature un compito da svolgere affidato ad altri, a noi. Guardare, imparare, proseguire, in alto, in basso, fare esperienza, prendere coscienza di sé, percorrere i vari gradi, arrampicarsi sui tanti gradini, scivolare e ricominciare, ma non fermarsi, se non per spiluccare succosi momenti di piacere. Chiudo gli occhi e lo dipingo: è ritornato in cima e pettina i rami delicatamente, accarezza dolcemente e le plasma, e le parole cadono al suolo, leggere, come vuote. Ora è in bilico sull'ultimo gesto, poco decifrabile allucinazione e proiezione di sé, a consegnarmi il succo, senza panico, con mitezza e coraggio. Non ho nemmeno un appiglio visivo, trascuro ogni dettaglio e tutto si svolge in sequenza, non distinguo quale sia l'inizio, quale potrà essere la fine. M'investe morbosa la schizofrenia, l'ansia. E da tutta la mescolanza ecco si genera il mutamento. Dubbio latente a mezz'aria. Aspiro all'ascesa. Salgo anch'io. Raggiungo il degno docente. Son più complicate le dinamiche, più sfocato il sogno. Agisco attraverso lui. Ho paura. Fallisco. Debole, forte, severo, ammiccante, depresso, attivo. Opposto, uguale, contrario. Realtà fantasia, desiderio di agire come mai avrei fatto, divenire ciò che mai avrei potuto essere.


“gli è meglio fare e pentirsi che non fare e pentirsi”


Passo iniziale tratto da 'Gradini' Hermann Hesse - Massima finale di Niccolò Machiavelli

domenica 10 aprile 2011

al netto delle bugie



Ho capito... ero bimba e disegnai l'immaginazione prima, ne venne fuori l'architettura delle mie aspirazioni principali: una casa col tetto piazzato in giù, cuneo azzurrissimo e le fondamenta che si radicavano in un verde intensissimo. Questa sono io, capovolta. Cresciuta a dismisura, le mie gambe a circondare tortuose geometrie, arzigogoli sempre più spessi, viticchi e volute che giocano coi nembi, gli occhi piantati nella roccia, fiori dalle orecchie ad appendersi e riempire le facciate e a salire, sù, più sù, chioma rampicante ed ombreggiante, alberelli per ogni dito delle mani. Frutta, tanta frutta, more, fichi, pere piccolissime, fragoline rossissime. Tu pino secolare, marittimo e profumatissimo, dal tronco inclinato e le fronde che accarezzano e solleticano le mie cosce, s'agitano come mare in tempesta, si placano e mi baciano. Una bimba non può spingersi oltre... anche se un ramo induceva in tentazione. La maestra Teresa finse disattenzione o ingenuità. Io mi ripetei, altrettanto decisa a farne una serie; risultai forse ossessiva, disegnatrice compulsiva e le matite colorate mi furono sequestrate. Bene pensai. Andrò in giardino a costruirne una vera. E lì in Scalea nacque e crebbe una pianta di piselli incastrata tra un coccio di vaso e una piastrella colorata, blu, di fianco un pinolo diede la vita a un arbusto che di lì a poco, si fece grande e voltato a destra a richiamare il mare. Questa sono io, stravolta. Mi allungo velocemente ad immergermi nella natura, lì solo trovo la mia essenza, lei custode dei sentieri che conducono alla verità, il senso ultimo di ogni venatura di roccia. Il vento mi porta a folate la voce dell'esperienza, un canto soave e duro allo stesso tempo, riuscirò a destreggiarmi, sopravviverò al passato e mi confonderò col presente, preparandomi al futuro, rinnovando ogni istante della mia fantasia, perché sia chiaro, oggi son necessari sognatori nuovi, il mondo rinato e riconosciuto, il mio mondo interiore, invisibile, bello di una bellezza altra.
Son tesa... ad accettare di scoprire cose che non corrispondono per forza a ciò che ho creduto vero sino ad oggi.
passi tratti da I diari di Rubha Hunish

mercoledì 6 aprile 2011

donna giovanna


Desiderio che cominci in un'ora… la sveltina va bene con il vicino di sgabello al bar o con il dirimpettaio in metro. Con te, no. Per un attimo ti si alleggerisce l'anima. Poi torni cupo. Per assurdo, dici, non dovrei esser contento, son uomo da fuochi fatui non da falò perpetui. Niente paura: sarà diverso ogni volta, ti rassicuro. Porto colori diversi e imbratto la tela con le mani, la segno, la strappo; mi ci siedo sù, non ho voglia di incorniciarla, la butto in terra ci cammino a piedi nudi. Ne tiro fuori uno spirito nuovo, quello della carne e quello del dialogo, quello dell'imbarazzo e quello del lazzo. Lo sai che non parlo quando faccio sesso se non per introdurre barzellette oscene… senza mai arrivare alla fine, esplorando tutti gli angoli della tua bocca, i giri nervosi dei tuoi occhi, le grinze delle lenzuola sotto le dita, ogni tua reazione, divertita o stizzita. Ti impedisco la parola con un doppio segno rosso a intersecare sull'imbarazzo della lingua e azzardare al centro con la mia esplicitando il principio dell'erotismo sfrenato e dilatandolo all'inverosimile, slabbrandola e raccogliendola a ripetizione verso il basso, in direzione ostinata e contraria. È uno spettacolo, mi compiaci. Sono infastidita da questa tua improvvisa decisione di rendermi partecipe. Lo sai che non ti cito quando soddisfo se non per sottolineare limiti e difetti. Stronza. No, astuta. Non riassumo, non rievoco. Ti paralizzerei come davanti a una opera meravigliosa. Come si chiamava quella sindrome? Che le lezioni e gli insegnamenti ti facciano solo solletico e un leggero prurito. Che le esperienze precedenti siano lasciate per ultime, nascoste da qualche parte, interrotte o consumate. Non ti sta a cuore. Ci son quelli a sfondo sessuale, quelli rose e fiori, quelli timidi e chiari, con accenno di rilievi e spine con cui intavolare sane discussioni e celebrare sacramenti, quelli. Io non sono né sacra né mento quando, seria seria, in pubblico e in privato a consuntivo e in anticipo di una vita, mi faccio l'idea, la stupro quasi da seminferma, senza attenuanti però, reprimo tutti i miei falsi pudori ed esalto le mie azioni più immorali, gioco con il prepuzio delle mie convinzioni, carezzo piano le pareti irrorate, senza pass e invito, m'imbuco e arrivo finalmente a quel punto giallo splendido. Certo, giallo. Esplode come quando fissi il sole, diventa tutto bianco, nero, e nel buio pesto, c'è un sole più piccolo… un castello che si sgretola, un casino senza maitresse, un pugno di piacere diffuso e raccolto, scorre e ti riempie palmo, pori e linee.



Perché Dio non soffia sul sole non soffia e lo spegne, che tutti si rotolino l'uno sull'altro nella lussuria, maschio e femmina, uomini e bestie? Fatelo alla luce del giorno, fatelo sulla mano di qualcuno, come le mosche.
Woyzech - Werner Herzog

lunedì 4 aprile 2011

niente di meglio

Psicopolizia o meno io non posso far altro che sognare. Protagonista e voce narrante. Il racconto inizia e non so come andrà a finire. Risaputo che io odi i finali scontati e felici. Qualunque sia, fate che basti da solo a rendere tutta la storia interessante, avvincente e forte. Tempestatemi di domande, perché, per come e per quanto. C'è un infinito esuberante di fantasie qui, una riserva che non mi vede mai inoccupata e che mi rende ancor più intemperante e irrazionale. Da una cantina buia i bagliori delle bombe, son gli strali di un dio incomprensibile, imperscrutabile quando stende la sua mano benedicente sulla testa dell'imperatore tiranno, crudele nel momento in cui schianta al suolo il giusto partigiano. Come può permettere ciò? Son ancora una bambina e di fronte al piede imponente e contro quello sguardo crudele rivolgo il mio libero: Abbasso il re!


ma la rivoluzione a quei tempi era ancora lontana…
Hamid Ziarati

a tutti i bimbi che giocano nella guerra,
a tutti gli adulti che giocano alla guerra