martedì 27 settembre 2011

era così


Busso alla porta dei ricordi. Ed ecco, da cenere di tempo, mi balzi tu, a colori vivaci. Buia, era la notte. Popolata di fantasmi che celebravano degnamente l'anniversario della sua morte. Avevano raccolto i nomi più prestigiosi, e tutti emulavano i fasti della sua opera, pur riconoscendo, mai, mai avrebbero potuto rivisitare se non richiamando, evocando il grande nome e suscitando così inevitabilmente pianto e magra consolazione.
Sono incuriosita oggi, sento la mancanza. Snocciolo e ozio, rimango affascinata da nuove creature e novelli creatori, ma me ne distraggo subito, essi vivono in una dimensione parallela che mai potrà congiungersi carnalmente con la semplice magnificenza sua, firmata con sangue e brandelli, con lacrime e sudore, con graffi e liquido seminale.

C'è nel contatto umano un limite fatale,
non lo varca né amore né passione,
pur se in muto spavento si fondono le labbra
e il cuore si dilacera d'amore.

Perfino l'amicizia vi è impotente,
e anni d'alta, fiammeggiante gioia,
quando libera è l'anima ed estranea
allo struggersi lento del piacere.

Chi cerca di raggiungerlo è folle,
se lo tocca soffre una sorda pena...
ora hai compreso perché il mio cuore
non batte sotto la tua mano.
Anna Achmatova

Spicca e spacca il velo ed emerge ufficialmente a sovrano incontrastato delle mie memorie sopite e interrotte, coito spasmodico che risveglia e scuote, me, ormai adusa a cimentarmi nei suoni tradizionali degli amplessi, sussurrati, urlati o sfumati. Rompe il silenzio perdurante con un funambolico e sorprendente verso iniziale, rilegge in chiave moderna il mio piacere dormiente e dà vita a un più ampio respiro melodico. In piedi, fremente, adorante, applaude, festeggiamo…

L'amore è sutura,
non benda.
Non scudo
sutura.
Marina Cvataeva

In alto Autumn wood - Donald Ayres, frase iniziale Lionello Fiumi

giovedì 22 settembre 2011

videodrome


Parole, colori, luci, suoni, pietra, legno, bronzo appartengono all'artista vivente. Appartengono a chiunque sappia usarli. Saccheggiate il Louvre! William Seward Burroughs

Lo sto facendo. Senza fretta. Eccentricamente potrei dire che me ne son nutrita con fantasia ributtando poi angoscianti e inquietanti visioni poco positive del mondo. Non mi concederò la salvezza. Mangiavo abitudinariamente routine, comune alla maggioranza, la condivo con bellezza e restituivo al mondo esseri mutati, stranianti universi, città infestate. La mia è popolata da orribilanti morti viventi. Siamo tutti zombie. S'inietta il virale contagio e ci si mescola, un'epidemia che non si argina. Non è un'allucinazione. È la moderna e ossessiva realtà che genera il mostruoso etere. Schermo, schermo delle mie brame, chi è il più drogato dall'oscuro potere? Prima di farmi risucchiare nel vortice perverso e onirico del mondo del fanta-horror m'esaspero nella ricerca dell'origine della mutazione e comincio ad interagire con la mia metà meccanica usando codici numerici, parole criptate, messaggio subliminale e metafora, archetipo e allegoria apocalittica. Così riuscirò a crescere a dismisura, raggiungendo la grandezza del potere controllore. Così competerò con gli stessi mezzi con la realtà catodica che annienta le menti e le coscienze. Non è una farneticazione. È l'era di selvaggi che si fa cibo per le macchine evolute e superiori. Suggestione infinita. Finché ci saranno corpi da fagocitare sì… finché ci sarà pulsione irrefrenabile che appaghi sì, poi la realtà ci apparirà una conclusione senza speranza, un ordine a cui obbedire, una fine alla quale non potremo sopravvivere, schiavi della propria percezione virtuale, sbattuti in prima visione, in prima serata nella video-arena, soccomberemo, per interruzione della corrente? No, per comando ricevuto.

lunedì 12 settembre 2011

spirito…


mi fermo su questa parola. Sospiro. È il segnale al quale si tira giù il sipario. O forse no… Potrebbe accadere che non mi si senta. Dietro le quinte potrebbero esser distratti dalla sesta misura ben in vista. E io penso tragicamente: cosa faccio ora? Ho sempre temuto che la fine non avrebbe esaudito il mio desiderio e non sarebbe stata di mio gradimento. L'ho pensata tante volte. Chiusura senza moine, senza bis, né saluti, né sorrisi. È la mia ideale rappresentazione del destino, gratuita e senza fondo. Fatale, ora che sia obbligata a continuare. Ho riformulato gli ultimi minuti, sospesi tra il dubbio e i pentimenti. La decisione spetta a me: mantenermi in essere o levare le mani in senso di commiato e uscire senza dir nulla. Riprendo l'ultima parte, la rielaboro. Sarà un lavoro infinito e io comincio a comporlo: opera sempre in atto e in continua replica. Non potranno incenerirla. Non potranno vietarne la visione. Rimarranno brandelli disturbati, stanchi, ma mai annullati. Voglio un'incompiuta, imperfetta e inquieta che si abbandoni alla presa vigorosa o al timido sfogliare, interrotta e annullata, ripresa e ridefinita. Con lei stabilisco ben presto una grande intimità, mi libero di tutti i fardelli… chi sia a dar vita all'altra è difficile dirlo. In un potente processo di decomposizione io dono forma, lei mi restituisce forza, io mi plasmo con passione, lei ne trae valore. Io decifro una combinazione sublime di parole, m'illumino verbalmente e mi relaziono finalmente con l'altro che la leggerà e la trasmetterà. Per chi come me ha sempre risalito il corso impetuoso, controcorrente, spiccando salti inumani, penetrando il caos e opponendosi al sistema cos'altro potrebbe diventar più facile? Sto deviando e divento diversa, stavo per… si pensava che dovessi… Io ora so cosa sia essere e cosa non vorrei apparire. Che non ci si azzardi a riassumere, a comprimere… è necessario che s'imprima, che sia denso, che si intrecci e che sia evocato, senso e suono, contenuto e forma, disordine e proporzione, puro e detto al mondo come se fosse l'unico linguaggio, ideale e pensiero, fatto, vita… spirito.

dedicato a Eidolon

C'è sempre un'altra storia, c'è più di quello che si mostra all'occhio.
W.H. Auden

lunedì 5 settembre 2011

s'ascose


Accade spesso. E diventa abitudine, modalità riconducibile e classica, ma allo stesso tempo contemporanea. Ci vuole un approccio delicato, prevalente, ma invisibile. Io ce l'ho il mantello. Lo indosso ogni qualvolta senta il bisogno di declinare in modalità assente la mia esistenza. È facile: si comincia dal fondo, ci si lega con un sottile filo, alla base della pianta, si tesse, si stende, e si congiunge fin sù, coprendo anche il viso. Posso venirti vicinissimo, percepire l'inizio di ogni pensiero e catturarne l'essenza più segreta. Ti cammino al fianco e non t'accorgi, ti sollevo e ti sostengo. Il risultato è calpestio leggero, liquido scrosciante, flusso libero, colore sprizzante nell'aria, riverbero tenue, contorni sognanti, dilatazione all'inverosimile, emozione adagiata adagio. Centellino perché non voglio che termini questa mirabile rarefazione, la sapiente atmosfera che viene a crearsi, impalpabile, appena abbozzata, ma che mi cesella gentile e mi posiziona così a caso, in maniera disordinata a far ombra o illuminare ovunque appaia. Proseguo svogliata. Non è pigrizia. È volontà spezzata, interrotta, sibilata… punge in alcuni frangenti, decisa e forte, sporadicamente, il più delle volte è assopita, irraggiungibile, impercettibile come lo spirito che tocco ma sul quale non lascio impronte, credo di sbocconcellarne, ma son solo briciole sparse qua e là. Non ho voglia di disturbare, temo di annoiare e cerco il mio incanto nella sfocatura, nella screziatura, nella disgregazione della realtà… è lì che raggiungo frangenti estatici invero simili ai sogni, quelli più frequentati, e mai interpretati, dai miei occhi aperti.



Sono libera. Lavorerò. La vita non mi fa paura. Sono stati anni di apprendistato. Terribilmente duri, è vero, ma che mi hanno temprato, hanno rafforzato il mio coraggio e il mio orgoglio. E questo mi appartiene, è la mia ricchezza inalienabile. Sono sola, ma la mia solitudine è aspra e inebriante.
Irène Némirovsky