martedì 28 giugno 2011

astro nascente

Il tempo passa, sto invecchiando. Sono obbligata a dire cose di cui non debba pentirmi. Tutti stanno sempre a ribadirmi lo stesso concetto: il peso della responsabilità. I miei 57 chili. Ne sto perdendo a vista d'occhio. Tra un po' peserò meno di quel cuscino. Calamelo, per quanto mi allunghi, non riesco a prenderlo da me. All'apparenza una donnina in salute. Dentro mi sta divorando, gradualmente, inesorabile, spodestandomi, l'equivoco più grande, più potente del tuo: ti starò vicino in salute e malattia… quali? Bé le mie e le tue. Lotta intestina. Alimentata dal tuo equilibrio e dalla mia scarsa difesa. Immunità contaminata da parole vuote brulicanti. Sono circondata dal tuo affetto, a volte eccessivo, ma vitale, e dagli aggressori virali, hanno una energia innata, una febbrile impazienza, non hanno paura del tuo strapotere censorio, issano scale, salgono, invadono… e io? Benvenuti. Prego. Ho preparato degli spuntini. Satolli e ubriachi, forse ci impiegheranno altri mesi, un anno in più, chissà. Arrivano i nostri! Li hai chiamati tu? Siamo o no una squadra? Sulla scacchiera, alla quale sono così legata, sono disposti secondo gli schieramenti, bianco-nero; eppure son sempre stata contraria ai luoghi comuni, maledizione: vita/morte. Vinca il migliore. Guarda come li ho disegnati. Non son diversi? Si muovono, galleggiano, informi e aerei. Impalpabili. Li sento vicini. Mi sostengono. E mi animano. Loro sono la mia anima. Appoggiati a me. Non ti voglio come bastone della vecchiaia. Non ho pensato a questo quando ho sfilato i vestiti, la prima volta… e l'ultima. Usciamo. Magari non vinceremo la rivoluzione, ma si va fuori.


Quando tu sarai vecchia, tentennante
tra fuoco e veglia prendi questo libro,
leggilo senza fretta e sogna la dolcezza
dei tuoi occhi d'un tempo e le loro ombre.

Quanti hanno amato la tua dolce grazia
di allora e la bellezza di un vero o falso amore.
Ma uno solo ha amato l'anima tua pellegrina
e la tortura del tuo trascolorante volto.

Cùrvati dunque su questa tua griglia di brace
e dì a te stessa a bassa voce Amore
ecco come tu fuggi alto sulle montagne
e nascondi il tuo pianto in uno sciame di stelle.

E. Montale da W.B. Yeats
Dipinto Gianni Rodari

giovedì 23 giugno 2011

piacere


Le sembro morta? Mi vede? Son qui protesa verso la sua mano. La avvicini. Mi tocchi. Segua le strisce ruvide, intense, sovrapposte, le accarezzi. Ora passi su arancione e rosso, mi sente? Mi muovo all'interno della tela, attraverso le sue dita appoggiate lievi, ora spinga più forte, venga, entri, non abbia paura, non si agiti, la tengo io. Le spiegherò. Si schiarirà, la materia oscura che non interagisce solitamente con l'universo esterno, si rispecchia nella forma comune in un'armonia cosmica e si fa percepibile solo in virtù di grandi doti di sensibilità e astrattismo lirico. È comparsa nella penombra della sala. Propensa e trasparente. Molti son sfilati. Freddi, distanti, netti, necessari. Lei invece è informale, soffusa, emotiva, plastica, superflua. L'ho avvertita subito. Lei sa ascoltare, lei è capace di stimolare e trasmettere. Parte alla scoperta degli spazi immensi, si inarca splendida aderendo alla straniata deformazione prospettica. Si avventura in strada tra scorci inesistenti e impossibili linee e piani in una fantastica notte in città, mi perdo, urla, e nell'atmosfera sospesa si eclissa dietro una parete mozza, mentre intorno si elevano grattacieli infiniti sviluppandosi in angolatura curvilinea da grandangolo. Potremo tornarci quando vogliamo: è il nostro deserto, la visione contrastante e fulgida, la sorpresa della luce e del colore, l'identità e la forza della natura che prende il sopravvento e riempie, trasformandosi in paesaggio antropomorfo fatto di ghirlande di curve e anfratti caldi di grande sensualità. Aboliamo i formalismi, m'invita. Ha tratto nuovi spunti, gioca con l'esterno, spruzzando particolari e raccogliendo reperti e impressioni. I ruoli si sono invertiti, e questo sembra divertirla molto. Impossibile non notarlo. Riesce a dipingere e a scatenare nuove emozioni. La nostra intesa è naturale e scolpita come nella rossa argilla. La nostra visita è diventata soggiorno dislocato indistinto stemperato instabile… il tu mi rapisci una preziosa opera dissoluta incastonata nel nulla ma dall'impronta indelebile.

in alto Georgia O'Keeffe, Music-Pink and Blue II, detail, 1919. Oil on canvas.

venerdì 17 giugno 2011

preconizzo


Incauta ricorrevo all'aldilà ma fui ben presto scottata da mani invidiose.



Mi racconto un sacco di fandonie. Non m'arrendo, no. Hai detto venticinque giri? E ventisei siano. C'è entusiasmo nella tua richiesta d'amore. Io contrappongo uno sguardo traslucido: un istinto malsano, in continua oscillazione… è ansia d'esser felice, è evanescente desiderio, ossessione meccanica, levarsi e addormentarsi, sforzo di invenzione, volontà pendente, insoddisfazione e battaglia estenuante. La vedo, la sento, l'assaggio, è donna, è uomo. Che sapore ha? Non trattengo abbastanza a lungo perché riesca a formulare un chiaro linguaggio, il mio tira, strattona e si rivela in ordine visionario, scardina la sintassi consueta e si monta da sé. Scritto da te? Non so. Lo estraggo e quello brucia, in un attimo, il rapporto di un'ora, non è velocità, non c'è indifferenza o freddezza, è un respiro senza metrica, un urlo senz'intervalli. Come fa male il vivere, presenza che si stende su un piatto materasso e buca e s'estende fino a raggiungere il sottostante piano d'assenza. Ora si leva e s'appoggia esausto al muro, e lei lo raggiunge e ricomincia la lotta, e lui in un estremo tentativo di sfuggirle attraversa ventisei centimetri ed esce alla luce. Fantasma t'ho battuto. Sicura. Di verso in verso. Linguaccia e smorfia. Pronuncio con sprezzante orgoglio le ultime frasi quasi a lacerare lo strazio tuo. Non temere. Torno. Lascia che trovi un riscontro più emozionante ora alla mia immateriale e impossibile minuziosità, spazio sperimentale e immediato lasso di tempo. Sporge un po', è un pezzettino di carta bianco. Scosto il sedere ed ecco, casca giù e lo leggi. Marca tragica e lettera breve d'addio. Scatto e lo caccio in bocca. Butto giù. Son scossa dal formicolio delle lettere che già si mettono in circolo. E tu annoti. E tenti. E ritenti. Non era un formulario. Non c'erano istruzioni. È inutile. Parole. Troppe. Se ci fosse un metodo le riscriverei e restituirei ad esse la rilettura originaria, cosicché tu possa comprendere e renderla intera. Sregolata. Son così. Il mio è monologo che segna dentro e fuori ogni ascoltatore. Tanto. Mi ricordo. Ventisei. Continua, ché ti raggiungo. Il colore che torna dal nero al verde d'un prato affamato fiori scesi giù tranquilli posano per gli artisti guardandomi girare tranquillamente per le strade a volte bianche.

Versi di Amelia Rosselli

mercoledì 15 giugno 2011

l'altrui…



… bellezza, solo quello. S'infrange, ticchetta, gorgoglia, incessante e mai doma. Muta e rimane sempre se stessa. La congeli, cosicché puoi esaminarla e fotografarla. Cristalli diversi che mutano di struttura e, sensibili nastri, registrano… musica, vibrazioni, messaggi. L'ambiente comunica con lei e lei ingloba informazioni ed energia, restituendo a me, a noi bellissimi disegni o mostruosi scarabocchi. Dipende dal tono dei tuoi sentimenti, dalla forma della tua voce. Parlale, dolcemente, e avrai cristalli bellissimi. Schiaffeggiala e ti sputerà in faccia forme amorfe e disarmoniche. Guarda come cambia, inconsapevole e potente, femmina, maschio: fonte impagabile, confine inesistente tra materia ed impulsi sonori, immensità languida su cui navighiamo e tempesta della quale c'inebriamo, fluido in cui penetriamo, linguaggio universale. Tu non puoi decifrarlo, ti sfuggono alcune sfumature della monumentale utopia così come accadeva in un altro tempo, tu fra i dementi che bombardano, stimolano, stabiliscono la conquista o aspirano ad essa. Mentre tu t'affanni alla ricerca di una risposta tangibile e fisica, passo e m'attraverso, esco e tento un contatto interiore, me ne innamoro follemente e da esso mi lascio travolgere e naufragare. Egli è oceano che t'affanna e ti distruggerà. M'accosto allo sterminato colosso, mai smaniosa, mai finita… Egli è segreto che m'interessa e mi nutrirà. Egli è noumeno. Per nulla percepibile, mistico e solitario. Attendo e continuo ad orbitare. Non è cecità mistica, non è rassegnazione. È vita. Uomo, t'aspetto, non tardare… ma persistevo nella fede irremovibile che l'epoca dei miracoli crudeli non fosse ancora finita.

Stanislaw Lem



all'acqua, energia pura e suono mutevole

sabato 11 giugno 2011

nell'aria inquieta


Guardalo quel fiore, campanelle pesanti, cariche di vita, figure femminili vestite di un vivido e livido fluido vivificatore, nutrici, madri, piantano e fissano le proprie radici della grande e calda cultura in un suolo spesso arido, sempre mangiato dal vento secco, ributtato dall'umida folata. Che fatica vuoi che faccia una pianta nel tracciare e sprofondare nella terra a culminare nella storia, a far germogliare le nuove linee etiche, spezzate e folte, melodiche e confuse, intricate e volte al sole, quel fuoco che brucia, beve dalla terra e crea la grande sete? Si fatica più a cercare di coesistere, smussare e conformarsi, quando sarebbe così facile, giusto, accettare orgogliosi le diverse tonalità, metterle in rilievo, dare colore dove serve, distribuire luce e ombra in un'equa composizione dei contrari, bianco-nero, in una omogenea complementarietà, generare una grande fusione di opposti, perché la differenza intesa come crescita ci fornisca una via d'uscita: un chiaroscuro che annulli i contrasti. Quale guerra potrebbe mai risolvere il grande dilemma della distanza, quale scontro vorrebbe mai guarire l'enorme ferita ancora aperta? Le due anime percorreranno quelle fratture lunghissime, la palma fresca inserirà la linfa vitale, il dorso scuro inciderà sugli squarci aperti, i piedi carichi di suoni, rumori, odori segneranno impronte fugaci, giusto il tempo di essere riseppellite dalla sabbia, le mani si stringeranno e si trasmetteranno la comunicazione del passato e l'incontro dei proverbi… la più grande battaglia è della bocca.

Non ci sono stagioni in Africa?
Diciamo che oggi è qui la primavera
venuta a far due passi con noi
giù da Harare o da Bulawayo.
La sua brezza benevola vi consoli
le narici con l'aroma
di abbondante flora in boccio,
spalanchi le vostre braccia ad accogliere
il soffio recente di libertà
attraverso le città e i villaggi sfiancati dalla guerra,
e afferri i coriandoli di porpora che fluttuano e cadono
su marciapiedi alberati, tetti ed automobili;
un festival di fiori oggi in Harare,
primavera è venuta in Zimbabwe per restare:
la jaracanda è in piena fioritura.
Seboni Barolong

in gemellaggio artistico e poetico con quella ligure di Adriano Maini

mercoledì 8 giugno 2011

sogno logico


Io non ci vado. Cercala tu. Come? Tocca a te. No, ho paura, ci-vai-tu. E cominciò il peregrinare. Non è più terminato. Mi condusse a un paese musicale nel quale ho fissa dimora, fuori dalle mura circoscritte della città provinciale, povera e decadente. Sono tuttora preda di un singolare stato di sdoppiamento, occupante felice di una doppia esistenza, in una terra incantata priva di limiti angusti, soggiogata piacevolmente dal potere rilassante e benefico a cui aderisco con abbandono e fiducia. Nulla di più potrei dire, null'altro potrei ricordare. C'è un pulsante invisibile, pigiato il quale, si avvia un immediato processo di accensione onirica, allucinatoria. Sublime. Esperienza ed essenza inafferrabile, mi rivela arcane risonanze e nella quale trovo risoluzione delle dissonanze della vita e ricompongo le fratture tra interiorità ed esteriorità. Libera. Mi libro leggera, priva di forza gravitazionale, vago al di là delle proporzioni reali e costrittive. Sola. Scelgo l'esilio volontario e porto via con me l'ipoteca sugli spazi concessi ai miei ideali e ai miei interessi culturali. Desta. Non so. Forse. Intanto considero la mia opera come uno strumento. Il mezzo di trasporto che mi elevi in una sfera superiore, in cammino verso l'identità suprema: idea, mirabile idea. Senz'indugio mi spingo fin dentro le macchie verdi, selve e foreste lisergiche, nel profondo che dovrebbe distrarre e divertire e invece diventa il vero, unico scopo, vertice delle umane aspirazioni, esaltazione del creare e anelito della composizione. Architetto dei miei sogni. Riunisco ricordi dell'infanzia, giochi e filastrocche, pulsioni ed emozioni giovanili e mi trasfiguro, senz'ombra disegnata in terra, senz'alcun dubbio di ribellione del primo amore, mesci, assumo l'antidoto alle soffocanti convenzioni e, priva di costrizioni, m'accompagno alle amiche proiezioni del mio subconscio. Allegra assai. Mi slancio contro la maschera cupa e ignobile. Ma quella scompare tra vapori e colonne in frantumi. In risalita, vieni. Aggiungo elementi nuovi, topoi a successione, a imitazione, creo scale ascensionali, ribatto in sincope con accordi e note frutto di infrazioni alla condotta generale, moniti irrimediabili, corrispondenze, allucinazioni ferme. Chiudi. Lascia che ci cerchino dieci minuti o sessant'anni. Sì, era una botola di luce, la luna, e attraverso di essa saremmo entrati nell'eternità.

Profondamente segnata dall'innesto.

Frase finale tratta da Hanno amore, Gianluca Chierici
In alto: Girl amongst leaves, 1893 - David Gauld

lunedì 6 giugno 2011

intenzioni

Le ho maneggiate tante di quelle volte che son lucide. Me le son girate e rigirate tra le dita; milioni e milioni di volte, guardate e rimirate, studiate e criticate, sospettate e ridotte. Per una, benedetta, altre, tante, distrutte. Una scusa, una fasulla giustificazione e in malora, via tutto. Bastava non sporcarle, non sottoporle al pubblico ludibrio, chi mi disse un giorno: custodiscile, e tienile in serbo, solo per te, chi? Non ricordo, ma so che aveva ragione. Avrei dovuto proteggerle, non sottoporle agli scossoni, all'inondazione dell'ignavia, allo sputo della denigrazione, all'usura dello sdegno, e alla pigrizia del coraggio. E cosa ne avrei tratto? Dal cambio, oggi so, ho ricavato un grande valore che nulla ha da invidiare alla varietà dei suoi elenchi, o allo scherno delle loro smorfie... Qualcuno un giorno disse che non vi è nulla di peggio che non essere compresi. Chi? So bene chi, maestro di poesia ed arte, fondamentale guida, pensiero vitale, genio anche lui violentato. Non gli impedì di arrivare fino a me ed io in sua compagnia vago e scavo, trovo altri giacimenti, nuove risorse. Non già una sorpresa, credevo fosse seme iniettato, invece era lì, indugiava sornione, s'agitava e si crogiolava, attendendo, paziente, che arrivassi a coglierla, lei insieme alle sue simili, in tutta la loro bellezza, esercitando un potere di cui non conoscevo l'esistenza o la tenacia. Coinvolta, in tutto il mio essere, ne sento gli effetti, investita ed onorata di esser stata scelta: l'ho mostrata, fiera, l'ho valutata, prudente; ricchezza sonnecchiante, ma mia, la afferro forte e la cedo volentieri, condividendo con altri l'entusiasmo, lo slancio e il coraggio, l'interiore libertà e il sacrificio degli interessi particolari. Ci sono, gridano ad una ad una. Grande la gioia, aperti i sorrisi, morbide e leali le strette, accoglienti gli abbracci, veri gli auguri, resistenti gli appoggi. La poesia mi offre soccorso, aiuta a riscoprire, a risvegliare. Son tanti i passi che riesco a ricordare, a tratti mi rincuorano, suscitano gratitudine, un moto sano d'ammirazione e di rinnovata azione, avranno un significato quelle parole che scritte più di un secolo fa, fanno capolino dai miei libri impolverati e ammiccano perché siano usate e tradotte. Leggetene e fatene tesoro, distribuitene a piene mani, sbracciatevi finché non vi vedranno e sottolineatele, ripetetele. Saranno come bandiere, come striscioni perenni, scudi contro l'inerzia dell'ovvio, saporite ricette, dense creme che andranno ad emulsionare la cattiveria, ad idratare la ruvidità del quotidiano. Ma esprimetele, imprimetele bene che tutti le possano vedere, insegne luminose sulla vostra fronte, sbatacchiate e insistenti, purezza dei segni contro il buio del silenzio colpevole. La sua lirica, sostegno irrinunciabile, l'ho ripescato non richiesto, l'ho eletto mio saggio suggeritore... farò una figura grama, o, forse, sarò salva, nelle piccole e impercettibili verità polverizzate rintraccerò la modernità: quando un vecchio sa esser giovane e sa tessere con le sue parole dei ricami preziosi, assai più egregi delle sue vivaci cravatte, si fa voce sincera e mezzo di trasporto di idee e intenzioni in una corretta direzione. Attraverso stanze oscure, percorro corridoi nascosti. In fondo all'insidia un varco, m'affaccio e mi bacia, il futuro caldo e abbagliante. Una serie infinita di trappole non è bastata ad imbrattarmi l'anima, ostinata e bruciante, come quel puntino luminoso che spinge dietro la mia palpebra cieca. A me trasgredire... mio quell'ordine insorto.

Proprio l'istante in cui la bellezza,
dopo essersi fatta lungamente attendere,
sorge dalle cose consuete,
attraversa il nostro campo rigoglioso,
lega tutto ciò che può essere legato,
illumina tutto ciò che deve essere illuminato
del nostro retaggio di tenebre.
René Char - 'à une sérénité crispée'

a PrimaveraLocorotondo

venerdì 3 giugno 2011

confini



La parola è una finestra aperta verso la realtà.

L'ultima volta che l'ho abbracciata è stato un Natale. Si precipitò giù per le scale, e sul primo pianerottolo forte, commovente, strettissimo: ah, sei qui, e, come se la conversazione non fosse mai stata interrotta, giù nel giardino, eravamo due fiumi in piena, aggiornamenti arginati solo da lacrime e sorrisi e nella corrispondenza costante dei racconti, saltavamo tra episodi, storie, disordinate, stagioni, pensieri. Tutto grigio, qualche macchia verde e noi all'ombra, ancor più scure, sotto un albero maestoso di frutti sgocciolanti succo dolcissimo. Un'infinità di colore, noi due e quella massa carica di profumo, una macchia rosseggiante che mi sorprende ancor oggi nel ricordo di quel giorno. Un quadro che si agita nella finestra aperta ora all'interno della immaginazione e mi piego per raccogliere a piene mani lo squillo e il contrasto e il tesoro inestimabile. A malincuore affermo oggi: quell'albero è stato tagliato. Estirpato con i nostri affetti. Son stata forse troppo fredda, capace poco di aderire alle tue idee e confermare i nostri ci piace. Le nostre convinzioni si sono sbriciolate, le parole già precarie, al primo ostacolo, sono inciampate e son rovinate come quelle facciate vecchie e scalcinate. Mi ci son affacciata un giorno e da un angolo mi son fatta beffe delle promesse e dei giuramenti di bimbe. Non son fatta per i legami stretti. Cazzo significa? Non lo so. Ma mi sento nuda dopo un po' e me ne vergogno. L'imbarazzo non era un'invenzione che avessi in mente. Tu non sai amare! Ahia, quell'esserino ha parlato e decretato la fine dell'io, di quell'io che si faceva un sacco di domande, e che avrebbe atteso una vita prima di trovare le risposte. Ho ancora un punto interrogativo, la domanda… e il silenzio sbuca fuori e rode le convinzioni radicate, in tanta coscienza non assoluta, su vaste superfici, tra conflittualità e libertà di pensiero, al di fuori della logica comune, senza indirizzo, poca polvere sugli scaffali e tanti alberi di cachi.



finché non ho compreso che non esiste parola che faccia male come te.
Pavle Stanišić

i versi iniziali sono di Herbert Zbignjew

mercoledì 1 giugno 2011

40

pizzo da velo… rimarrà nel corredo…

Do not disturbe. Ritorna a intervalli, salti di tempo ormai troppo brevi. Troppo. Ha la facoltà di aprire varchi e fenditure, perché? Viaggia. Senza limiti avanti e indietro. Le primavere del corpo hanno lasciato il posto agli autunni dell'anima. È una pirata rivoluzionaria. Sovrappone e intreccia oscenità con tabù, paranoie con amore. E viaggia. Poche cose da portar via e di cui aver bisogno. Necessità? Niente legami. Con forza visionaria impareggiabile dirige uno spettacolo di ombre: personaggi che si muovono leggeri, scompaiono e ricompaiono, si scambiano i ruoli, occupano perennemente i camerini e le quinte. Ingoia una pallina d'oppio, l'ultima. Non vuol sentire nulla. Nemmeno il minimo sintomo di mal d'aria. Parte, infine. Ma non è un congedo classico, né perfetto, né temporaneo. Cos'ha lasciato? Una stanza bianca che profuma di asettico pulito, la televisione ancora accesa, ma muta, la radiolina sul comodino accanto alla bottiglietta santa, al fazzoletto intriso della mia acqua di colonia. Lenzuola raggomitolate, cuscino improntato… Ha approfittato di un momento di tregua, di una disattenzione e zac… è o non è un esperto in arti magiche? È entrato, ha effettuato un'operazione indolore, inciso una mappa preziosa col bisturi in corrispondenza del neo e vincendo l'annosa sua pigrizia, le ha stampato un biglietto di sola andata, destinazione ignota, ma sicuramente terra calda e mare trasparente. È entrata. Ha varcato. Ha preso un passaggio? Bisogna sempre approfittare della gentilezza altrui. È un'esperienza utile, dal carattere riepilogativo e tutto un universo tematico rintracciabile in essa. Non ci si pensa più di tanto, un libro buono, una macchina fotografica e via. Torno subito!

Ho scavato un buco nel tempo con un petardo. Che altri ci passino attraverso.
William S. Burroughs - 'Le città della notte rossa'