venerdì 29 marzo 2013

we are improving - everyday.



So organizzare una fuga? Son maestro in fantasie represse, studio dei dettagli immaginifici, messa in opera della evasione incompiuta. Le vedi quelle dita veloci, guarda quel dondolio sfrenato, ascolta il movimento sordo della lingua? Quasi un sospirato passo in avanti verso la nota successiva. Il futuro della interpretazione. Il pezzo mancante, originale, diverso. Oltre quelle listarelle mobili perennemente abbassate c'è il mondo: la città fremente, gambe nervose, vortici di pensieri e di azioni e di abbaglianti. Tu scatola vuota potresti contenerne tutta la varietà, te ne nutri fino alla nausea e nel momento in cui potresti liberartene, finalmente, ricacciandola fuori, la reingurgiti, perché non vuoi privartene, non vuoi rimanere solo, vuoto... Il deserto incombe, arido secco immenso. Il buio attende che tu lo penetri, che riesca a raggiungere la proiezione del tuo essere, ad aprirlo all'altro, a permettere che visiti e si fermi se vuole, se può. Non sa restare, non interessa, non condivide. Vicini, stretti, liquidamente congiunti, ma estranei, solidamente freddi, fisicamente alieni. Sorrido per circostanza reiterata e compulsiva, ripeto ossessivamente gli stessi gesti, mi accaloro e mi gelo, mi anniento e mi moltiplico nell'apparente fugace intreccio passionale. Son bravo a uscire di scena, consapevole tristemente della mancanza, della perdita, ma intrinsecamente slegato dalla dolcezza di un vero abbraccio, segnato dalla lacrima rivelatrice, sorpresa inaspettata: scelgo di non essere, so lasciarmi andar.. via...



it's a shame on me

domenica 24 marzo 2013

anche volendo..



Le labbra si sforzavano di sorridere, ma gli occhi opponevano resistenza.

Dopo il primo debole tentativo lasciai che prendesse polvere, lo osservavo da lontano, mi ci avvicinavo con difficoltà, ne accarezzavo i contorni, lo immaginavo diverso, accennavo un avvicinamento, ma subito me ne discostavo. Due universi distinti, separati da lunga distanza, dai quali nessuno dei due avrebbe potuto erigere nessun ponte per raggiungere l'altro, un amore impossibile a sublimarsi, uniti solo da un ricordo indissolubile assolutamente non vago, anzi.. fondato su basi solide come solido può essere un mondo parallelo, costruito tenacemente accanto al proprio, quello in cui rifugiarsi non appena il primo diventi insopportabile, invivibile, cinico. Sii ragionevole, prendilo con te, aprilo e respiralo.


Janitor sottofondo, my brother and his nikon, me fumè


Morirò per lui. Non sono riuscita a vivere per me stessa.

passi di Haruki Murakami

mercoledì 20 marzo 2013

parallelismi




Ne incontro spesso, malvolentieri. Sono tutti presi, forse un po meno di me, a me appaiono più distratti del solito e mi ingannano. Sarà perché nell'aria che preferisco respirare io c'è sempre una strana sospensione elettrica, una tensione che blocca ogni possibilità di riflessione, sarà perché attendo che sia qualcun altro a definire ciò che io tratteggio appena e che non mi va di cancellare né tanto meno correggere, che ecco lì il prossimo sta già dissolvendo piano, mi sta instillando la diffusa tranquillità, quella del 'tanto va così', 'godiamocela finché ce n'è'. Io ci metto del mio. Mi lascio riempire. Succhio quanto basta per far arrivare il flusso e quello si travasa totalmente. C'è chi m'ha definita botte colma senza rubinetto. Vero. Puoi scoperchiare, guardar dentro, ma non puoi aprire e berne. Se cerchi bene troverai perdite. Quelle. Solo. È il risultato di una impostazione minimalista, ma non è scelta intenzionale. È cominciato tutto con un contrasto netto tra dare e avere, continua con il bisogno di contenere e finirà con uno scoppio sonoro quando le fasce creperanno definitivamente dopo millenni di colpi, baci, spinte violente, amplessi dolci, carezze profonde. Non è mai stato un percorso lineare, molto personale, poco coerente, variegato assai. Continuerà a scorrere liberamente. Inutile tenermi.





Una volta ho preso un treno per amore. 
Ferma in posti dove non mi conosce nessuno.
Antonio Giardi

mercoledì 13 marzo 2013

sul post



Io sull'altalena ci son salita a due anni appena. La sensazione mi piacque talmente tanto che decisi: tra qualche annetto quando ne sarò capace e soprattutto quando riuscirò a non farmi scoprire, ne costruirò una io, tutta mia, tutta mia. Sapevo essere adorabile e pestifera allo stesso tempo. A quattro anni e sette mesi ho preso di nascosto martello e chiodi e ho unito due assi abbandonate accanto a un trullo in ristrutturazione. Ho recuperato una corda di quelle che usava mio papà per imbracarsi e salire sui pali della corrente elettrica, l'ho annodata forte, stretta, e l'ho fatta passare attraverso due rami, i più alti del fico altissimo accanto al pollaio. Non appena potevo sgattaiolavo via e mi ci abbarbicavo: a testa in giù, in piedi, su un piede, appesa alle sole corde, facevo per darmi una spinta forte, arrivavo su in cima, vedevo solo cielo, sentivo solo nuvole, parlavo solo al vento, credevo d'aver preso il volo e invece ritornavo sempre indietro e allora mi spingevo più forte.. e intanto ridevo, di un riso matto, dolcissimo, libero, profondamente vero, di quella gioia che insiste ogni giorno ad iniettarti pieni di fiducia giovane, immune da difetti, quasi perfetta e ti spalanca alla vita, forse troppo ingenua, ma talmente lontana dal male e compenetrata nella sua stessa freschezza che ancor oggi ne senti il suono flautato, lo scrocchiare asciutto, il passo sicuro, il gusto della scoperta. Cosa succede ad ogni ridiscesa? Cresce la sensazione del sogno irrealizzato, si realizza chiara la manifestazione dell'impegno non soddisfatto. Non ho mai visto quel gioco solo come tale. Non era ricreazione la mia, ma ricostruzione di uno spazio alternativo, di una dimensione diversa all'interno della quale esularmi e abbracciare la facoltà creativa, la capacità di toccare con mano la sostanza e la materia della passione e della fantasia. Ne accarezzavo appena la superficie liscia, scivolavo di nuovo giù, m'intestardivo e alimentavo il rischio, io funambolica e incontentabile, e ancora su, su.. e ridevo del più potente e assordante riso, quello che soffoca i demoralizzati, seppellisce gli sguardi spenti e colora di giallo fervore e rosso allarme. I miei prendisole, le mie ciabattine, le mie gote.



Ero cresciuto ascoltando predicozzi quotidiani sulla responsabilità personale. Mi avevano insegnato che il lavoro, l'onestà, la volontà, l'applicazione allo studio, erano alla base del successo nella vita, e quindi della felicità. E tutto questo, dicevano, era espressione di libertà
Giuseppe Casa


A proposito quel trullo è crollato, la mia altalena è ancora lì.