sabato 31 marzo 2012

fatalità


C'è una fitta rete di complicità nei bassi fondali ai quali attingo ogni qualvolta non sia in grado di reagire perché troppo spiazzata, stanca o pigra… inerme o fragile. Così, ovvio. È sperimentazione, ed esercizio fondamentale di ricerca: si scava a fondo e ci si eleva a raggiungere i vertici più lontani svolgendo un'opera di estraniazione dalla propria identità e calandosi in quella di qualcun altro. In apparenza son io, in realtà son distante e camuffata creatura, trasparente velina da sovrapporre a questo o a quel testo e prima in maniera opaca, poi sempre più chiara, vedi venire alla luce storie sospese nel tempo, vite vaganti nello spazio, rivelazioni referenti del mio essere, sagoma sfondata nella pagina, ricalcata a tratto duro, più e più volte fino a diventare l'avventura quotidiana, quella assoluta e parziale della mia infanzia, nella quale diventavo protagonista di un'immaginazione giustapposta al vero. Le bugie han le gambe corte, mi ripeteva divertita, tuttavia, mia mamma e, al ghigno divertito di mia zia, io, sul trillo del carillon in esaurimento, ridavo corda e ricominciavo a districarmi, saltellando in lungo e in largo superando curve e storture, evitando ostacoli e torbide buche, acerba e insensibile alla fatica e alla durezza e ottusità degli adulti. Il risultato è un tuffo nell'instabilità fiorita, persi nelle onde profumate dei ricordi, coi fili verdi di filastrocche imprigionati tra i denti fischiate fino alla noia, ti rialzi e guardi tutto sotto una diversa ottica… non ti piace, meglio stendersi ancora un po', ancora un po'. E intanto qualcuno sta già gettando lo sguardo dentro, sta analizzando con piglio chirurgico, sezionando piano, ancora più lentamente, freddo, s'insinua nella fisica quotidianità, radicandosi e facendo slittare inevitabilmente verso la rottura. Angosciante, atroce tensione del filo sotto cui incombe il vuoto punto di non ritorno. Alle 17e17 di ogni giorno bevi un tè di leggerezza, per cogliere - ma non sempre vi riesco - sul mio viso l'ultimo cenno di innocenza, sulla fronte la lucida traccia di infantile sudore tra i capelli intrisi di gioia e spensieratezza, così fresca e liquida che posso intravedervi un riflesso di vita

Allora ti sei divertita? Così. L'hai visto il metrò? No. E allora, che cosa hai fatto? Sono invecchiata.
Zazie nel metrò - Raymond Queneau

sabato 24 marzo 2012

certo? incerto!

È un cuore, un muscolo paralizzato, come un orologio fermo. Non ti impressionava quando lo potevi sentir battere nel petto di lei, nel polso. E allora, sì, era davvero spaventoso. Ne potevano uscire cose spaventose: il destino di un uomo, e anche di più. Anche la verità assoluta e vendicativa si fabbricava là.


Agustina: se lo sai, dimmelo, altrimenti taci per sempre. E lei tace, portandosi sotto la coltre di terra emozioni e sintesi, essenziale e dettagli. Scelgo di rivolgermi a Camilla, le chiedo ragioni, la prego di spiegarmi la realtà, di placare la mia maledetta curiosità, di concertare il dramma dell'assenza, di esibire e sviscerare i principi fondamentali della sostanza e del mondo visibile. Non ne ha, ha appena esordito e rimane congelata tra luce e ombra, in sosta vietata sul mistero perenne e in bilico tra Antonio e José, il ricco e il povero. Me lo confida, non dispone di risposte, lei, potrebbe fornirmi immensità di dubbi… E io accetto. Sarebbe un buon punto di partenza, il tentativo di scoprire, l'opportunità di provare quella combinazione, girare la chiave, spostarsi sulla preziosa scacchiera, se non fosse per quel sole accecante che fa capolino da dietro le loro spalle e spara strali di terribile, luttuosa e tramontata fiducia. È una partita persa. La storia più assurda e artificiosa che io abbia mai letto e, vista rappresentata, ancor peggio; sembrerebbe un gioco al massacro, raffinatissimo, sì, ma oscenamente girato, percorso, sottotraccia, vincolato e tirato energicamente da un filo rosso, ed è sangue, elegante, sì, ma grottesco. A chi, ora, domandar soccorso? Chi può spegnere l'ardore dell'angelo e troncare il volo del diavolo? Io sono ormai vinta, abbattuta, in terra, dissanguata dal tramonto acceso nel quale si stagliano nere e pungenti due pupille, l'una cinica, l'altra perduta. Le scorgo, orride, simulo e mi inabisso in quell'oscuro e immenso labirinto di corridoi, di geometrie disperate, di ombre che si rincorrono e incrociano la mia fuga, istanti eterni di vizio, trame infinite di capriccio, racconto e dipinto tratteggiato con sapienza dell'immoralità pratica e teorica; il mio percorso si fa indeterminato, incerto, indistinto tra l'artificio e la vita, il tempo, un'eco sfolgorante e straniante che graffia e irretisce, stritolata nelle spire del crudele pugno che incrocia e intesse e inchioda, sudo, brucio. Lì mi sciolgo… forse.

Sono stata convinta, non sedotta, la seduzione dura meno della convinzione.


Eccolo l'ambiguo mio novantenne, colui che non riesce, non sa, non vuole giungere a una conclusione, che si avvita e si perde nelle sue ellissi magiche, nelle oscurità immense, nelle geometrie mirabili e non fornisce mai una spiegazione logica ed esauriente della realtà comune ma ne costruisce una continuamente sfuggente, prostrata alla superiorità femminile, ai capricci della donna che impersona il bene e il male, occhio scaltro e magnificamente diabolico. Io non posso far altro che aderire alla sua visione, non fosse altro che per una mia innata e peculiare caratteristica, quasi una patologia, ormai nota a tutti: nel teatro dell'assurdo ci sto a meraviglia, nell'orologio che ha perso le lancette e batte il tempo in maniera indefinita e disarticolata sono naturale ingranaggio, dell'insofferenza e del distacco da qualsiasi impegno impellente ho fatto sregolatezza personale, con l'illusione e l'eterno disattendere ad ogni promessa vado a nozze (le uniche dei miei desideri), sul governo delle passioni e delle perversioni baso tutto il mio racconto e il mio credo... che dire? Questo portoghese con me non è avaro di doni e sorprese, mi spiazza ad ogni frase, mi ghiaccia ad ogni silenzio, mi infiamma ad ogni sguardo. Contorto, sottile, elegante gioco in cui mi perdo e mi desto; passatempo ed enigma privo di disciplina e di conformità ad alcuna legge.
Si fa donna il mio vecchio. Graffia e incide. Ricama e civetta. Complotta e si diverte alle spalle nostre... cos'è l'equilibrio? Non lo so e continuo a ignorarlo. Pratica indeterministica. Principio di incertezza. Obrigado (recensione presso casa di RobyDick de O principio da incerteza).

Donne! Non era ancora tempo di ricorrere a loro per consacrare le illusioni senza nome di cui gli uomini erano fatti! Ora volevano solo condividere gli stessi momenti, quel vuoto del cuore in cui c'era posto per tutte le promesse del mondo.
Agustina Bessa Luís

martedì 20 marzo 2012

piano


Fa piano... non vedi quanto è placido il fiume? Presto saremo trasportati via, immergiti, rilascia le ultime energie trapassare nel liquido corso della fantasia e abbeverati dei tuoi pensieri, rileggili, annotali. Ascolta come scorrono. Io già non scorgo più il confine remoto che mi separa dalla contingenza. Imprimi dolcemente l'incipit su quel foglio bianco e perditi su strade finora inesplorate, fermati a contemplare l'irreale esse tracciata da bionde corolle, riempita di scarlatto fremito. Quanto vigore, quanta passione han fatto posto all'empio potere? Quanta ingiustizia, quanta sofferenza han creato i vili dorati legami? È tempo di riprendere la narrazione, impugnare penna e intingere le punte, scrivere a lettere di sangue il racconto giovanile, riportare alla mente le pagine più eroiche, spinger via l'impeto bestiale con lo scudo della poesia, della letteratura, della storia...
'Oh despota ingiusto,
amante del buio e nemico della vita,
hai riso dei gemiti di un popolo debole,
mentre la tua mano è imbrattata del suo sangue.
Vai profanando l'incanto della vita
E seminando le spine della sofferenza nel suo campo.

Piano! Non ti lasciare ingannare dalla primavera,
dal cielo sereno e dalla luce del mattino;
ché al di là dell'immenso orizzonte c'è il terrore delle tenebre,
lo squarcio dei tuoni e il furore dei venti.
Stai attento! Sotto le ceneri cova il fuoco
E chi semina spine raccoglie ferite.

Guarda là... Quante teste hai tagliato
e quanti fiori di speranza.
Hai riempito di sangue il cuore della terra
E le hai fatto bere lacrime fino a ubriacarla.
Sarai travolto da un torrente, un torrente di sangue,
e divorato dal fiume ribelle'.
Abu'l-Qasim Ash-Shabbi

Non è stato facile. Le pause e le incertezze han portato via tempo prezioso. La decisione impressa nella memoria infernale, la partenza dolorosa incisa a caldo, il momento di vita evidenziato con colore fluorescente, il distacco evoluto nel viaggio, l'intera esistenza fermata in una piega... è quello il segnale: chiaro e veloce, da là riprendere la narrazione, da quel punto risollevarsi, tendersi verso le braccia vigorose, afferrare le mani estatiche, gustare il vortice delle frasi amorose, sostare sulle labbra ardenti. Cosa aspetti? Nient'altro che quell'atto improvviso: rapimento e fuga, rivoluzione e rinascita, palpiti e gioco di cuori e menti all'assalto dell'ignobile tiranna. Può la propria terra suscitare tali sentimenti? Sì. Tieni vive le braci. Alimenta l'ansia di grandezza. Una vetusta forza serpeggia sotterranea a seminar discordia, a portar via fiducia, a impedire il libero fluire, ogni tanto riemerge, sbuca e interrompe la struttura della fiaba ormai iniziata. Eleviamo la visione, scopriamo lo straordinario lasciandolo sospeso sulle teste dei poveri mortali. Pazza. Forse. Può la follia porre rimedio alla disillusione operata dalla lucidità? Sì. Ma occorre attendere il finale.


Stava viaggiando dal passato al futuro, trasportata senza una meta sul tempo infinito del mare.
O non stava forse compiendo un viaggio interminabile dalla terra della costanza a quella dell’impermanenza?

Yukio Mishima 


mercoledì 14 marzo 2012

segni o segnali?

Dio promette la vita eterna, disse Eldritch… Si fa un salto triplo in avanti, la mia fantasia slitta e va a sbattere violentemente su un muro, via calcinacci e in mezzo, da una larga fessura si crepa, si allarga a diventare una voragine… giù mi lascio trascinare giù, e più precipito, più m'allucino, e in avanti, avanzo o indietreggio, bucando quel muro, sfasciandolo come fosse legno marcio, innalzandomi sulle braccia di baldi diavoli che mi offrono felici un passaggio gratis, mi rassicurano, saprai ripagarci diversamente! La lunga salita mi toglie il fiato, ho un appuntamento in orbita, innestandomi in un rovesciamento di prospettiva, intanto suona, la musica più aliena che io abbia mai ascoltata… straniante assai, sembra riassumere una fuga tra le vie desolate, pericoli ad ogni angolo, lo spacciatore che ti insegue per la dose cattiva non ritirata, la coppia di sbirri che s'affanna dietro lui e te… impreco, mi faccio largo, vengo vomitata fuori dal ciclone, l'ultimo scivolone mi spinge su un pungolo, mi condanna definitivamente alla confessione perpetua, non posso rimanere, grazie, scusate il disturbo, troppo complicato, consultare quella tavola, pedissequamente inutile: l'enumerazione infinita, la carenza di fenomeni a testimonianza, l'indeterminatezza di quei pochi meriti, le grandi omissioni, l'analisi dei pro e dei contro, con supremazia dei secondi, la bellezza delle mancanze e la conseguente poca attrattiva dell'obbedienza, l'assuefazione… no, meglio ritornare alle mie sculture di nuvole, i circoli viziosi, i giochi degli schermi, con quelli sì che riesco a non soffrire di intolleranza, di rimorsi, di colpa. Torno ora da un bel substrato, anzi ho fatto di meglio, ho creato una realtà personale, incauto sogno di anormalità, sinistra dea dei grandi punti interrogativi, profana e indegna proprietaria di molteplici chiavi di lettura, apro e chiudo il mio quando il mondo mi stia troppo stretto. Ci posiziono i personaggi, parti e frammenti di una complessa storia, li accompagno e m'assistono, essi stessi animati dallo stesso bisogno del dubbio e dall'angoscia di trovar risposte. Nella traslazione dev'esser accaduto qualcosa alle mie mani, alle mie ginocchia e al mio fianco. Fitte e rosse, acuto e lacrimevole odore di vernice; apparenti o reali. Oltre le nubi cerulee un tuonante clacson annuncia la venuta: il carico ordinato, a bordo di un meraviglioso, mastodontico truck. Non credo che tu sappia, ma credo ne sia valsa la pena, non ho trovato ciò che m'era stato promesso, ma in compenso credo e nego, vivo per l'affrancamento dal dokos e morirò vigile, cosciente e a tariffa zero, su sottofondo ipnagogico.
… Io posso fare di meglio; posso metterlo in commercio.





passi tratti da The three stigmata of Palmer Eldritch
Philip K. Dick

sabato 10 marzo 2012

la mia bambola parla


Ha cercato a lungo e, alla fine - ma mica poi tanto -, l'ho trovata, io: la sua voce, greve, profonda, con qualche incrinatura, due incertezze, quattro note raspose, a tratti gracchiante, ma tanto sensuale, a tal punto che ho pensato di essermene innamorata. Dopo averla riconosciuta tra tante gliel'ho consegnata: pacchetto confezionato ad arte, coloratissimo come le sue gonne, nastro scuro di velluto come il suo neo a metà strada tra l'occhio sinistro e la mascella. Aveva smesso di farlo in pubblico. Solo in occasioni particolari, quando stretta tra la necessità di spiegare e l'arroganza di chi pensava d'aver capito tutto, si rendesse obbligatorio dir qualcosa, la ritirava fuori e all'inizio rotta e insicura, prendeva forza e diventava flusso ininterrotto di confidenze e verità sostenute o camuffate da racconti. 'Sei fuori luogo, cara'. 'Cosa sei, una cornacchia?'. In mezzo a tanti che ignorano ci sono io. Io affascinata e solidale, sincera e storta, proprio come lei. Suona male per gli altri, la scarsa fantasia è la motivazione. Scandisce solo a me il sentimento della vita, sussurrato, mai urlato. Sobria, priva di inutili orpelli, musicale, soul, nera, ed è ciò che voglio sentire. Mi irritano gli acuti perfetti. Le tonalità sorde mi rappacificano con la vita. 'E' grigia a tratti'. Sì, e non si faccia nulla per nasconderlo, sia reale, la malinconia, spersonalizzata, mai appartenuta a qualcuno in particolare, la renda visibile agli occhi, appena, come fosse un velo, perché così accade, un'ora prima vorresti volare giù, un attimo dopo hai voltato le spalle per uno scatto di meraviglia. Il tragico evapora, la struttura emotiva che ne risulta è tutt'altro che labile, l'armonia che ne deriva è una rete vibratile che pesca la durezza del destino e ne fa suono ed impulso, energia.




cover e musica di un mio amico, modesto mio contributo illustrativo al suo lavoro in tondo e in piano..




In quel momento gli venne l'idea che, seguendo un percorso ad angolo in direzione sud ovest, sarebbe potuto arrivare a casa sua a nuoto.


John Cheever

martedì 6 marzo 2012

la linea scura




Disegnàti dal destino. Entrambi affilati. Foglio a quadri diviso in due. Una parte per uno. Più colore, sfuma, aggiungi, attenua. È arrivato il tuo turno, congiungi quei due punti e segui il segmento formatosi; dove porta? A stabilire un legame indissolubile, a toccare sentimenti profondamente tracciati, complice il tratto duro e materico di un pennello a setole forti, resistenti alle intemperie e desiderose di raccontare il mondo interiore dei personaggi delle loro visioni congiunte e disgiunte allo stesso tempo. Guarda un po' più in là: che vedi? Un universo intero di possibilità... tu? Quelle che non scorgo io son sicure le tue. Sempre la solita ironica. E cosa dovrei fare se non sorridere della sventura incipiente? Sapevi far di conto, avresti dovuto far quello. Sì, probabilmente, tu sai ragionare e dovresti aver ragione, almeno un 49 per cento, ma è l'altro 51 che mi dà problemi: mi rode come un tarlo, il lavoro sicuro mi ripugna, m'avrebbe privata dell'ultima zolla, la soglia sull'abisso... e tu sai, non posso fare a meno, devo sentirlo, voglio quel vuoto. Ho posizionato un lucido sul tavolo luminoso. Guardaci attraverso: che sogni? Una proiezione in avanti di ciò che è raccontato in superficie, un gran bell'insieme di composizione testi e illustrazioni fiabesche, evanescenti, sottili, impercettibili, lontane. Non posso non ammetterlo: sei sempre stata più permeabile alle intemperanze, decisamente trasparente e fugace come un acquerello ti perdi, scompari, ricongiungendoti all'elemento tuo naturale. È una tale gioia fuggire, sottrarsi alla incombenza: nel peggiore degli incubi è la sensazione successiva all'aver superato a velocità inumana la strettoia alla fine di un vicolo buio. Senti ancora l'aria malsana che ti risucchierebbe indietro, ma tu ne sei uscito vittorioso e la saluti sprezzante con uno schizzo di fiato. Non avrai mai pensione se continui così! Tredicesima, buonuscita, straordinaria mancanza di lavoro, assegno in bianco stracciato con orgoglio, un rapporto senza inizio né fine, perciò trattamento ottimale... sfrenata mi lancio sulla corsia più interna, sto arrivando, tira indietro il braccio, impugna bene non fartelo scappare, lo prendo... lascia che attraverso la mia opera viva anche quella tua irrealizzata in una meravigliosa ideale staffetta artistica tra fratelli.


qui il pezzo che non riesco a pubblicare..



... la linea scura che non si interroga solo su quello che l’occhio vede, ma anche su quello che c’è dietro agli occhi.
Edmond Baudoin

sabato 3 marzo 2012

musica e pesca




È che tutto s'inceppa. Di continuo. Seguo la traccia. Preciso. Ma il percorso si fa accidentato, permanentemente fosco, grigio. È o no un breve tratto di strada? Sì, impiegherei un quarto di solitaria traversata… sì e no. Ma, mistero e accidente, sbaglio, buco, esplodo. Ogni volta che incrocio la realtà, quella vomita fuori tutto il suo strazio, si sporca. Quant'è brutto accorgersi di non essere autosufficienti. Puliscila. Parla per lei. Chi, io? Io in continua sindrome di mancanza di me stessa? Io che m'aggrappo alle parole e scivolo sempre più? Io anoressica e bulimica, io svuotata e piena. Vivo di scrittura e segni. Ne ho ingeriti talmente tanti e non riesco a restituirli impacchettati in ordine. Son tutti sparsi nella comunicazione confusa e mai traducibile. Usa lo sguardo - rimbrotti. Foto a ripetizione. Soggetto: invisibile, macchia. Dacci un taglio - consigli. Follia. La cura è peggiore del male. Sono in crisi di astinenza. Non ascolto. Non parlo. Rifiuto l'espressione dopo l'ingorgo dei significati. Mi ricreo, quel che mi resta è ironia. L'ho ritrovata come segnalibro alla pagina 1982 del libro mio preferito, quello con la copertina ghiaccia, dove il freddo ha cristallizzato e spaccato, riducendomi in tanti frammenti, silenzioso e asciutto. Troverai le istruzioni più avanti, le rintraccerai quando avrai riadattato l'ambientazione così come in sogno… quella sì che è una terra incantata, il paese ideale nel quale l'immaginazione può distorcere e annullare e brecciare e realizzare! Stai meglio - in un fiato. Sì, che hai capito o, hai fatto finta. Son nata nel trauma e mi salverò, adagiandomi e addormentandomi. Fantoccio in mezzo al frastuono.


avrei preferito della ottima Baby Dee You'll find your footing.. ma non è più disponibile su tubo