sabato 30 novembre 2013

trilogicamente


Qual è il motivo per cui una decide di andare a riprendere un libro, così come un vinile o quella ricetta antica? La risposta è già impastata nella domanda, ha lo stesso sapore inimitabile delle mani di quella vecchietta che si levava alle quattro del mattino, preparava il tavoliere segnato da mille colpi di coltellino, imbiancato come i suoi capelli, profumato da centinaia di migliaia di spianatoie. Gli avvenimenti attuali, le notizie spaventose così come quelle liete sono contenute in quelle pagine, le più lise da dita curiose, instancabili, fresche impronte innocenti, e la colonna sonora in quelle note, soprattutto quelle gracchianti, quelle consumate, frementi, acute e profonde, tocchi sapienti e poco esperti, tutti uniti e magicamente mischiati dalla alchimia antica e sempre nuova della conoscenza, delle intelligenze oneste e mai dome, sempre volte al bene-verità e mai alla cattiva abitudine di rimaner fermi sulle proprie posizioni, all'egoistica pretesa di stagnazione nella nebbia della menzogna. E' con questo spirito che mi accosto alla trilogia di una grande scrittrice, parola scritta e mossa da un vento impetuoso, spietato e dispettoso che crea il giusto scompiglio e spazza la fitta coltre opprimente del sembra, ma non è.. inutile dannarsi, tanto non cambierebbe nulla.. Comincia con folate brevi e fastidiose, s'intinge piano piano nell'insistenza e nella paranoia, prende vigore e si schianta sulla sventurata lettrice, schiaffeggiandola, scalfendone la granitica sicumera, aprendo sempre nuovi varchi attraverso i quali sfonda i confini friabili e impatta violentemente i frutti duri della coscienza: nessuno è esente da responsabilità in un conflitto, in una lite o in un tradimento. In questo continuo turbinio di emozioni scritte ad arte, lavorate con abilità, inventate di sana pianta o tenacemente aderite alla vita io quale ruolo ho? Fondamentale e vano: mi abbandono alle correnti, o faccio resistenza, spesso inutile, o assaggio il risultante prodotto finito, -perché, chi non lo sa?- l'aria trasportata ha un ben preciso sapore, un profumo e una consistenza ben definite in uno spazio, un suono che ben definiscono lo spazio e il tempo e il fine. Oggi arrivano a me tante voci, le lodi di chi li mangiò appena sfornati, i mugolii di piacere di chi li aveva sterminati, i lamenti di chi rimase a secco, le urla per l'amaro in gola, i singhiozzi da mal di pancia per l'indigestione. Passano i decenni e si accavallano ricordi ed aneddoti, si fondono e mi regalano nuove fonti e mi forniscono più saporite interpretazioni. Erano così buoni che li chiamai raffiche..

Nella vita odio il vento... sei come quel che critichi e ti infastidisce. Comincio seriamente a crederci, perché tutto rafforzato è simpatico assai.

.. cerco di raccontare la mia storia, ma non ci riesco, non ne ho il coraggio, mi fa troppo male. Allora abbellisco tutto e descrivo le cose non come sono accadute, ma come avrei voluto che accadessero..
Agota Kristof

martedì 26 novembre 2013

sorda

Mezzo uomo vai avanti, in ogni direzione.




Finché senta. Negli alti e bassi attraverso il mondo. Ad ondate pregne di frustrazione e rabbia, alterno furore maturo, orgoglio solenne. Non mi controllo, sragiono; trasmetto impazzita, declamata come un canto sospeso, mi abbatto come un coro a cappella maligno, terrorizzante. Traspare un profondo senso di urgenza. Chiaro parte come un fruscìo. S'infuoca in fischio acuto, penetrante. Si sovrappongono e creano spessore, una barriera che è inutile cercar di bucare, né tanto meno scalfire. È come avere di fronte, dietro a destra e sinistra altre me, nei tentativi vani e continui di entrare, sostano fuori e osservano e imitano le varie espressioni. Era un gioco che facevo da bimba: parlavo e non muovevo le labbra. Lo rifaccio ma non ricevo riscontro. Il suono è contorto, disturbato dalla durezza delle parole. Ho impiegato anni per non farmi comprendere. Ora che vorrei solo dire semplicemente sono atterrata da smorfie crude, disilluse visioni, fiamme interiori, strade deserte e dittatori e ventriloqui orribili: quelli che guardo muovere la bocca, ma non odo. Non avrei mai immaginato peggior scenario apocalittico. Eppure l'assenza di speranza è stato il mio brutto inizio. Il salice cresceva affianco a me. Ne avvertivo la fronda ombrosa, ad esso mi poggiavo quand'ero stanca, ma non ne ricavavo sollievo, anzi, debole, filiforme, più confuso di me, di me si nutriva, in me si insinuava lentamente, indelebilmente. È inesorabile. Nessuna tregua. Si diffonde la rassegnata coscienza che presto io non possa seguir traccia, mi rimarranno le code strumentali, le percussioni forti, tattili e visive. Ipnotizzarmi. Appiccicarmi al mio padiglione, sprofondare fino ad afferrare lo scricchiolante e ossessionante urlo muto, moltiplicato all'infinito, strapparlo via e soffocarlo. Lo spettro. L'incubo. Il rumore grigio. La nebbia sonora. Il sabba estraneo. Leggi per me.
Affinché non senta.




Ci prendiamo noi cura di te.
Einstürzende Neubauten

Estragone Cosa abbiamo fatto ieri?
Vladimiro Cosa abbiamo fatto ieri?
Estragone Sì.
Vladimiro Bé… per seminare il dubbio sei un campione.
Estragone Io dico che eravamo qui.
Vladimiro Forse il posto ti sembra familiare?
Estragone Non dico questo.
Vladimiro E allora?
Estragone Ma non vuol dire.
Vladimiro Però, però… Quell'albero…

Aspettando Godot

martedì 19 novembre 2013

a lezione




Bello sguardo dimmi cosa vedi al di là di quell'orizzonte. Occhio sinistro t'interrogo perché vorrei che tu m'illuminassi sul futuro, sul mio destino, sul nostro amore. Abbi fiducia. Ora scriverò su un bigliettino cosa ti servirà: l'essenza e la giovinezza, raccogline abbastanza e fai un piccolo bagaglio. Con un secchio vuoto riuscirai a prender più quota, e volerai al di sopra di tutto, e se ne trovassi poca, potresti riversarne. Quale miglior cura? La ricetta giusta questa, la ricerca della leggerezza come reazione al peso di vivere. Veloce, mano destra, unisciti alla mia, concisa, breve stretta, magica presa circolare che m'ha legato a te per sempre. Disegna nell'aria come un'unica tappa, riepilogo di una storia, sintesi perfetta dell'unione di due menti, giovane e vecchia, acerba e matura, fulmineo percorso dei circuiti mentali che collegano e catturano punti lontani dello spazio e del tempo. Care labbra cosa volete, perché mi tormentate, mordendovi e sanguinando? Nitide odo parole spingersi sulla punta della lingua e giù, scandite e precise, libere e rigorose, le riconoscerei tra miliardi. Son le mie si allineano e marciano in completo elegante ed essenziale. Qualunque sia la cosa che si vuole dire, esiste solo un sostantivo per descriverla, un verbo per animarla e un aggettivo per qualificarla. Fantasia, pensiero cangiante, progetto colorato, penso per immagini e le stendo cambiando tono, attingendo al significante, mescolando le espressioni. È forse questo il senso e il modo, ubiquo e necessario, attuale e chiaro. Ti sussurro visioni. Sta a te ricomporle o lasciarle confuse lì nel paesaggio da esplorare. Volevo anche che quel destinatario riuscisse a immaginare la traiettoria che descrive nella mente - o nell'anima? - una parola prima di andarsi a poggiare sulla punta della lingua, sui polpastrelli della mano o sul ciglio del padiglione dell'orecchio. E quello che fa? Non ascolta… si ritrae per dilatarsi ancor più, si restringe e poi esplode in una striscia lunghissima che si srotola per accogliere quante più espressioni, quante più vibrazioni, tante, infinite, spruzzate e tuffate in quel secchio immenso, dal volume senza fine, in cui ci si perde in un luogo labirinto gigantesco, garanzia di una verità mai parziale: Quella che prende forma nei grandi romanzi del XX secolo è l'idea d'una enciclopedia aperta potenziale, congetturale, plurima. Com'è iniziata? Ho smarrito la parola iniziale. Nella molteplicità degli incipit dov'è il collegamento? Ti ho qui, finalmente, giovane vecchia storia d'amore per la scrittura e la sua lettura, alla tua conquista io m'impegno, a te mi dono, simbolo di trasmutabilità incessante, relazione di elementi in continua proliferazione, non mi deluderai, no, mai.

Grazie a un grande Italo.

mercoledì 6 novembre 2013

tilt

Da questa fase non esco, l'ho ripetuto almeno centinaia di volte. Ci lascio le penne. Non è una tappa, è più che altro un binario morto, di quelli che non ti lasciano il tempo di tirar la leva, frena?, e sei già spiaccicato dopo un bel volo. C'è da dire che probabilmente ne rimarrà traccia, un'impronta indissolubile, esclusiva da tramandare a futura memoria, ma mi concederà appena l'onore di un accennato applauso. Si parlerà, si commenterà. Si è rigirata come un vortice attorno e sotto se stessa, ha scavato a fondo gallerie infinite, nelle quali, avventuratasi, non riuscendo a ritrarsi per far ritorno, s'è persa e, come dice lui, questo è e sarà il suo fallimento più bello. Lui. L'autore. È stato talmente tormentato, povero figlio, così ombroso e poco incline a qualsiasi compromesso che questa sua ultima opera, riportandolo alla visibilità meritata, sì, ma tardiva e ininfluente, non farà altro che lasciar tutti indifferenti e il suo successo ben presto dilapidato. Tutti chi? Non me. Insieme a lui alla deriva nel 2006 ci son anch'io. Circondata da tanto affetto, una parte disinteressata, una parte aderente, soffocante e in attesa di pagamento rata a scadenza. Musico questa tappa. Quello che verrà dopo non riuscirà ad eguagliare la bellezza della sofferenza, dell'inciampo, del rallenti della caduta. Scott Walker. Tormentato songwriter. Storia e blocco. Tilt, giù lo scosceso e ultimo approdo, appunto. Capo di buona speranza. E riascolto l'eco di una biografia ricca, bizzarra, fuori dagli schemi, di quelle in cui m'imbatto e m'impatto volentieri e sulla forza delle quali mi lascio trascinare, lontana dalle radici, ma radicale avanguardista, trasformata e rinnovata, alla ricerca continua di frutti mai maturi, animata dallo stesso sguardo cupo e malinconico… svogliata e mai doma, segreta e coloratissima, compongo pulsazioni, le unisco in un'enorme litania, sgranando e recitando. Son terremoti interiori che sfondano il suolo e nel fratturare zolle e aprire voragini liberano sentire, pensare e guarire. Per me e per lui.