martedì 28 febbraio 2012

la fortezza

Come sanguini disciplina. È ancora in attesa. Di cosa non si sa. La vita risulta cattiva all'assaggio. Scaduta. Ha aperto piano, gettando lo sguardo sull'ineluttabile e sul singolare contenuto e la muffa gli è esplosa in faccia, imbrattando naso e fronte. Assurdo. Mesi fa, fece un rapido calcolo, tenendo bene a mente maturazione, prospettive di sviluppo, crescita e guadagni, sostenendo una linea di pensiero poco lineare, e dapprima ignorando i segni dello sfacelo, poi man mano sottolineando rischi e perdite, sempre più veloci, più frequenti, si fece ogni giorno più consapevole della corrente, di quel vortice che tira dentro e annulla. È un viaggio lunghissimo. E la meta è sempre più sconosciuta; nonostante si chiedano informazioni, risultano sempre errate, confuse. E il tempo poco, pochissimo, scorre, indifferente, insensibile, scandisce l'inesistente, l'impalpabile, il sottile strato polveroso che si apre al suo passaggio e nel quale affonda. Aspettative. Le nuvolette di fumo che seguono lo sparo, quel lampo che abbaglia e ripiomba nel buio della desolazione, della solitudine dell'uomo di fronte al soldato con la faccia dura che obbedisce a un ordine, non conosci la parola d'ordine al terzo chi va là? Dovrai morire. E va giù, più pesante. Continua a domandare a se stesso e alla voragine in cui sta, quale sia il fatto importante, quale il segno, il fiat che dia senso e lo ricongiunga al vivere. Miraggio agli occhi fissi della cornacchia impagliata: cose fatali nelle quali si trova avvinto, convinto che abbia ancora il ritmo frenetico della giovinezza e la forza per saltar fuori. Amaro constata la fine: una specie di scherzo riuscito male. È appena scomparsa l'unghia del suo dito più lungo, il cerchio si stringe fino a scomparire, risucchiato da un punto, da un invisibile granello e si chiude l'ultima traccia del suo passaggio: cancellato l'unico file di quel progetto che sembrava aperto e possibile, uno sbaffo, appena, di un disegno scarabocchiato all'età di sei anni, felicità oltrepassata, dimenticata, rimossa, trascorsa e contrapposta a una tristezza immensa nell'età matura, sepolta, cupa e terribile. Una prigione da cui evadere. Il giudice invisibile. L'ineluttabile boia. S'avvia: nessun rinvio, né assoluzione apparente. Bisogna raccogliere le forze e non ci si deve arrendere. […] Entrambi i metodi hanno questo in comune, che impediscono la condanna dell'imputato. Però impediscono anche l'assoluzione vera.

… la fissava affascinato, si domandava che cosa ci potesse essere di desiderabile in quella solitaria bicocca, quasi inaccessibile, così separata dal mondo. Quali segreti nascondeva? Ma erano gli ultimi istanti.
Dino Buzzati


Frase iniziale: René Char; dialogo finale: Franz Kafka, Il processo.

venerdì 24 febbraio 2012

dissoluzione

Quasi nessuno lo ammette. Chi ne parla lo fa sottovoce o urlando sguaiatamente, ma nasconde la reale natura della trama. Il fatto è che ti sfugge, ti si sottrae in continuazione, al di là di ogni tentativo possibile non riesci ad identificarla, più tuffi la mano destra nel secchio delle esche, la sinistra a reggere la canna, più quella scappa, si rivela per una frazione di secondo sul pelo dell'acqua ad agitare le branchie in cenno di saluto e via… negli abissi delle storie, nelle divagazioni tematiche, nelle decomposizioni surrealistiche, nelle digressioni a sovrapposizione, nei piani delle regressioni.
Ti fa un'interruzione pubblicitaria da incubo al di fuori di ogni immaginario, deflagra e distrugge qualsiasi idea di narrazione, la riduce a brandelli e marciume. Devi prenderli per quel che appaiono ed evidentemente sono: frasi sospirate, suggestioni forzate. Sei stanca e stressata, rimani a lungo non pervenuta, non esisti se non su quello schermo, un minuscolo puntino luminescente che testimonia il tuo passaggio qui tra noi o una tua apparizione nello sviluppo lineare di un'esistenza.
È necessario un atto di remissione. Bisogna leggerla tra le righe, qua e là frasi e non detti, tra le scosse e le interruzioni, viverne spaccature e rotture, amarne ferite e lacerazioni. Raccogli tutti i se, immagini la realizzazione di tutte le ipotesi, e hai ancora l'impressione di essere a zero. È una continua paranoia pretendere che quel corpo assuma una forma diversa dal fantasma che da anni abita le tue stanze segrete, un essere onnivoro, micidiale arma da guerra che sembra voler fagocitare te e tutto l'immenso cumulo di dubbi, giudizi critici e tabù.
Ecco cosa ci vorrebbe: un bel missile che tracci una traiettoria nuova, una parabola insolita, il lunghissimo viaggio attraverso questa mia terra sconosciuta addentrandosi e lasciandosi avvolgere nell'abbraccio mortale, nel fuoco della dissoluzione, interpretando e frugando, facendo di sé e dei propri punti d'attacco, di te e delle trincee di difesa, lenta lentissima esperienza.
Cominci, rivivi, t'impegni in ricerca ed esplorazione, attenta a non farti sfuggire nulla, nemmeno il più frivolo particolare, devi spazzare le tinte cupe e oppressive, giacere e divertirti, conservare l'elemento colto insinuando sorrisetti triviali: sensibilmente edotta e insidiosa seduttrice, mentalmente disturbata e geniale stratega.
Preparati, sto accumulando fascine, comincio ad elaborare trance esplosive, passerò al setaccio le voci che circolano nell'aria, userò le loro vibrazioni, le onde che legano e liberano i nostri corpi, i flussi in cui siamo immersi, l'arco di tempo che dovremo percorrere per ritrovarci e perderci subito dopo, il morbido giaciglio in cui adagiarci ed agitarci, impiegherò tutto ciò per farne miscela e scintilla: quello che cerco è fuoco, disturbo e folle gioco, straccia la mappa, cancella gli schemi, è mio l'ardente scoppio, mie la gioia del volo, la certezza della disfatta; ha contorni sfumati la conoscenza della resa e il disequilibrio sublime della non gravità, il mio nome su quel missile.. i miei amamenti.

poi era venuto il giorno in cui aveva conosciuto per la prima volta il legittimo proprietario di un sogno che lui aveva fatto
Gravity's rainbow Thomas Pynchon

lunedì 20 febbraio 2012

melanine


Ho visto, giusto ieri, un panorama verde intenso con intervalli ben dipinti di giallo ocra, spruzzato di terra di siena sul quale il sole, benigno assai, svelava un'armonia insperata e sognante. Ho lasciato appena socchiusi gli occhi per evitare che quel mondo maiuscolo violentasse il corsivo delicato dei miei paesaggi interiori. Ma perché poi? Non era che una stupenda rivelazione, stagliata lì davanti, a portata di mano, non avrei voluto pentirmi della mia indecisione. E così mi son presa quel passaggio saltando sul sellino e andando incontro al destino avverso, o necessario, poco m'importa. Mi lascio attaccare da tutte le falene che mi sbattono contro. C'è la possibilità che anche loro approfittino e mi accompagnino. Le ultime. Vive. Continua. Finché rimarranno ad animare il brusco e veloce battito. Fragile essere. Saprai in tal modo ch'è possibile. Frana. Come neve non assestata. Viene soffiata via. Non tentar nemmeno di prenderla. Inafferrabile dolore. Aspetta. Spera, come la gente di buon senso può sperare in una felicità immeritata, un perdono spontaneo, roba così… una speranza che sembra morire nel 'silenzio', adagiata sul tempo, sprofondata nell'abisso. Ci son ferite che non è possibile rimarginare, come la necessità di tacere e di toccare paesaggi e orizzonti sconfinati. Irrisolto non detto. Che si sia capaci di sopportare, in che modo e in che misura dipende da ognuno di noi, in maniera soggettiva. Che si possa scriverne, questo è il mio tentativo, che si debba leggerne, questa è la nostra fortuna. Che si debba fuggirne, quella è la scelta di tutti.

frase della farfalla: scrittrice canadese Alice Munro.. e 'il' tatuaggio non c'entra nulla..

mercoledì 15 febbraio 2012

Simone e io

e la riluttanza non era di ribelle passionalità, ma di una voce interiore, di un senso di verità… Non l'ho ideato io, no. Ma è come se fosse stato. Ed è. Io mi muovo e cancello le tracce. Tutte. Parto. E riempio i bagagli di un'essenza sempre nuova: non l'influenza totalitaria, non quella della fredda dirigenza e della fedeltà cieca ad ordini bestiali. Io resisto. E spingo via l'infame e putrida oppressione. Scrivo. E riporto me, gli altri, lei, il dramma, sintetizzo e proietto avanti me, gli altri, lei. Cos'è un cigno o uno struzzo? È un'intera generazione che s'appassiona, troppo buona, gentile. Serve tanta personalità, ci vuole la sua forza, il coraggio e il sentimento delle belle idee; si riservi un posto al talento e l'inquietudine che m'appartengono e si dia inizio al quotidiano spettacolo. Divelte le gabbie da uno scoppio di rabbia e disperazione. Ecco, entrano i leoni. Volatile preparati. Ti spiumeranno per bene e mangeranno carne genuina e piena al punto giusto. Ingrassato per bene, nutrito a pane e letteratura. Di fronte: fantasia e utopia contro polvere e sfascio. Ha la meglio Ideale che ingaggia una lotta dura e serrata, riesce ad atterrare Sistema, sta sotto, stretto il collo tra le mani ossute, sembra esalare l'ultimo respiro, poi con una fulminea mossa, sferra un calcio nelle parti basse, un urlo disumano riecheggia… sogna, odia, sputa, e vuol campare. Lo vedi? Ti ucciderà, l'immaginazione sarà la tua tomba. Chissà… per ora rimango appesa all'illusione dello studio, in mezzo a un periodo ipotetico rischio di strozzarmi. Cos'è più vivo, una persona vera che traduce il suo respiro e muore disperando o un falso profeta che ruba quel respiro e vive da bestia? Lei è il mio rifiuto. Lei la mia resistenza. Al dogma, al potere, al falso e all'ingiusto, al conformismo e al relativismo. Lei il mio pensiero assoluto, luce interiore contro la menzogna e le tenebre. Legge e sorride. Studia e guarisce. Pensa e pesa: su un piatto i nemici dell'intelligenza e dell'integrità, sull'altro l'insegnamento, la libertà e la giustizia. Srotolo il grande formato, è una dichiarazione di guerra e la mia salvezza: l'operazione di prendere partito, di prendere posizione pro o contro, si è sostituita all'operazione del pensiero. Son convinta, ma continuo a ricercare la mia autonomia e il mio dubbio. Non sarò facile preda del cancro omicida dello spirito e della coscienza.
Si tratta di una lebbra che ha avuto origine negli ambienti politici, e si è espansa, attraverso tutto il Paese, alla quasi totalità del pensiero




a Simone Weil

giovedì 9 febbraio 2012

Die Sonate vom guten Menschen



Credi di decidere la tua vita?
I dettagli. Quelli almeno mi sarà concesso?
Ho oltrepassato il confine. Ho spiccato un salto al di sopra dello steccato e mi son ritrovata a trotterellare felice in un campo immenso. Verde a dismisura e azzurro così perfetto, asciutto, terso che ho paura a guardarlo per non sbiadirlo, per non vederlo sfumare via dalla pesantezza e ruvidità del mio dito. Un'unica appendice rivestita da uno zoccolo felpato dall'erba altissima. La solco come fosse un mare, libera, tendendo e rilasciando tutti i muscoli, modellati, dal vento che soffia sulle fragili parole mie, sulle intenzioni che si scontrano con la precarietà dei tempi, spazza la polvere dai progetti lasciati irrealizzati… piccoli particolari.
Ma le cose importanti vengono da sole.
Sono come il fuoco che cauterizza le ferite antiche. Tu percepisci il bruciore ancora vivo, ma cerchi pace lungo il profilo delle montagne, refrigerio nelle profondità dell'oceano, saggezza nella salita drammatica e spensieratezza sfrenata nelle discese distensive.
Mettiamo che per un tempo limitato io abolissi tutte le norme, e non alcune soltanto. Una volta raggiunto l'obiettivo, non potrei riassumerle tutte, quelle norme? Indubbiamente gli affari sono una specie di guerra. Perché dunque non fare guerra totale in vista della pace? … Risento la sensazione di ferita aperta. Mi guardo la gamba. Quella sinistra. All'altezza della tibia. Una lineetta alta non più di un centimetro e profonda non meno di due. Ho pensato che non smettesse più di venir fuori. Rosso. Denso. Insistente. Si vede ancora oggi.
Se guardi attentamente la riconosci. Brava. Calda. Impetuosa. Se stessi fermo un attimo ti ritrarrebbe in un secondo. Scosta piano quel velo opaco e tira a se in maniera chiara e precisa tutti i fugaci tratti del tuo carattere e le linee della tua vivacità. Lo stile è il suo: robusto e flessibile, ingenuo e concreto, permeato di due stillate di forza e originalità. La sua è pittura e poesia che si nutrono di fantasia e si innervano nella vita reale, tacite, armoniose.
A cosa penso? Alle tue parole, ai tuoi sorrisi di diniego, alla smorfia che fai quando non vuoi che ti fermi tra due virgolette e tre lunghissime pause. Eppure quei momenti mi riporteranno indietro e da quelli trarrò linfa vitale. Ad essi mi aggrapperò e mi farò sollevare al di sopra della viltà del deserto del cuore e dolcemente ammarerò sui due lembi mai rimarginati. Vivere vuol dire portare una cicatrice. Tutti questi pensieri eran come la banderuola in cima all'edificio del disagio e dello scontento.

I due passi sono tratti da L'inverno del nostro scontento di John Steinbeck



Let's just imitate the real, until we find a better one

sabato 4 febbraio 2012

Tired of remembering

Equilibrio. È una vergogna che tu non sappia cos'è. Spostati. Vai lì in fondo. T'impresto il mio binocolo. Corri. Raggiungi l'altro capo della conoscenza. Ti concedo una manciata di secondi e ti consegno l'essenziale opportunità di cogliere gli eventi passati, falsificarli, ripensarli. Quando avrai terminato partirai ancora e tornerai a me. Mi restituirai il paradosso apponendo innegabili ragioni e profonde argomentazioni. Perché rifletterci tanto? Non devi e non puoi! Non ne hai il tempo. Oh, se ci liberassimo di quest'inutile fardello e andassimo leggeri recuperando il viaggio, lungo, partenza in noi, arrivo nel mondo. Non dire ovvio se non lo senti davvero. Non pensare altro se non hai già deciso, dentro te, di dar il via al processo di comprensione. Hai il segnale di allarme inserito. Memoria_ proseguimento_lento. Nega quanto vuoi. Memoria_cancellazione_attivazione. Io riuscirò comunque a superare quel confine, ci sarò e infrangerò quella barriera, i maledetti cancelli del luogo sinistro, di quella terra di ulro dove l'uomo mutilato mi sopravviveva. Ma chi sei tu? Son la mappa che t'appresterai a disegnare, il piano che ideerete tu e gli altri per evadere dalla realtà disumana, la dimensione altra, la capacità immaginativa, lo sguardo capace di ridare significato a una vita spezzata e alienata. Non vedi dove sono? Cieca tracotanza mi sommerge e mi soffoca. Mi combinerò, mi farò alchimia, arte di vedere il mondo attraverso la prospettiva naturale, bibita ed essenza vitale, filosofia, chiamala, col nome proprio. La tua bocca sdentata parlerà oro, le tue braccia scarnificate sferzeranno l'aria con vigoria rinnovata, i tuoi occhi senz'orbita si maschereranno e scacceranno qualsiasi ombra menzognera. Sarò briciola che si farà pane intero, parola che si farà libro, nota che si farà inno. Io cantastorie moderna che non cederà al ricatto del lamento, scaverà e riporterà alla luce la grandezza dell'uomo. Dimmi ora chi sei, concedimi la salvezza… Son lo squarcio che apre, forza la ragione pura e arida e sorprende con la sua energia vivificatrice. Son la visione indecente che non perde il suo contorno reale e ricompone, ostinato e potente, il bello recuperandolo dall'orrore e dal brutto… Afferrati a me, son lo strumento e la voce, il demone benigno, ironia senza titolo, luce nel buio. Fu un giorno così felice… Il male accadutomi, l'avevo dimenticato, non mi vergognavo al pensiero di essere stato chi sono. Nessun dolore nel mio corpo. Raddrizzandomi, vedevo il mare azzurro e vele.

a tutti i perseguitati oggi, ieri e mai domani


brani di Milosz Czeslaw