domenica 22 aprile 2012

quanto?

Non so... decisa no, insicura, forse, in precario equilibrio a valutare i pro e i contro, cos'è che mi trattenga, il reale motivo per cui non riesca ormai a rimanere, radici... non ho lungaggini affondate, mai avute; affetti... anche meglio, le lunghezze stavolta si riducono tantissimo, non arrivano nemmeno a sollevar terriccio, non darei noia a una talpa, non potrei infastidire una termite. Ci sono, lo so. L'orgoglio. La caparbietà. La segreta voglia di riconoscere un giorno i segni di una ripresa, il gesto di rivincita: dito medio issato al mondo che guarda stupito, al quale, sghemba ma in piedi, urlo: ci sto! Ci vuole così poco... basta prendere le redini della propria esistenza, tirare forte o mollarle per partire al galoppo. M'accorgo che non sono assicurata, sto cavalcando a pelle, lui suda e io comincio a perdere la presa, scivolo via, s'infastidisce, si blocca e io volo via, tonfo secco, faccia in giù e dita a prelevare frammenti e polvere, ora sì che la pianto. Non era impossibile, nemmeno difficile. Ma a risalirci nemmeno a pensarci. Sarò arciere senza destriero. Farò la guerra senza armi. Darò la vita senza morire. Avrò licenza senza esser ferita. Ritornerò alle mie origini, darò vita alle mie passioni e mi farò cittadina in mezzo ai cittadini. Cos'è questo morso? Mi divora il piede, non posso poggiarlo se non avvertendo una fitta lancinante, quel bastardo al quale avevo offerto soccorso in uno slancio m'ha afferrato e non voleva più mollare. Una bella ferita che s'allarga e si arrotonda sul dorso e sgocciola e puzza. Non vi è traccia di fierezza. Impotenza, quella sì, m'ha presa, soggiogata e abbandonata. Il fuoco antico s'è spento. Disillusione, si chiama, mi chiama a dichiarar resa, mi richiama a gran voce, un'eco potente, sventura piena, colorata di tinte grevi, tristi, orribili, che disegna attorno, dentro, dentro un senso di sconfitta incondizionata. Nell'angolo al quale mi son relegata, io, soldato errante, sfodero la mia lancia e vi sfido a proferire parole, le più belle, le più vere, le più autentiche, sentite e disperanti, pungenti e delicate, quelle avranno la meglio.

Venga un'ora
di vero fuoco un'ora tra me e voi
ma scoppi infine la sacrosanta rissa,
maschere, e i vostri fini giochi,
di deturpato amore: nell'esatto
modo mio di non dovuto
amore e dissipato, gente, vi brucerò

Son ombre, le più cattive, quelle che ti seguono o ti precedono e intanto ti divorano il passo. Io già stanca parlo loro come per ammansirle, ma quelle più forti, incassano e rilanciano, sterco e melma, un guazzabuglio in cui si rotolerebbero ben felici i maiali, ma io, che per disinfezione uso altro metodo, voglio rimaner lucida coi miei pensieri, fuori dal mondo, esclusa dal successo, sola con la mia memoria, riconoscermi nella dignità e nell'esperienza, giusta sorpresa, l'appuntamento con la mia gioia... non è vero che è rara, c'è, è quella ferita, quel segno, quel discorso che ti serve a dire, a restare.


Passo tratto da 'Gli strumenti umani' Vittorio Sereni


cosa c'entra Monti, e cosa l'Imu? c'entrano c'entrano… rimbalzo a FuMuso

7 commenti:

  1. Una grande eroina, degna di essere cantata anche da un novello Ludovico Ariosto!

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  2. me lo sono messo nero su bianco che mi pareva stesse meglio nella luce:)
    perchè mi ha fatto pensare a una cosa che ho letto a proposito del male che vive nella tenebra e alla luce che fa sì che esso appaia, al disordine invisibile che diventa evidente quando accendi una luce dove prima c'era solo una candela, un discorso lungo (che comunque ovviamente è estraneo al post :) ma poi vedrai che in qualche modo si chiarirà !)

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