Il mio volto mi fa paura, la maschera mi fa ancora più terrore. Finale straziante di favola sinistra. Diciamo che i miei occhi han sempre visto quei confini, ma li hanno sempre nascosti nei solchi, diventati cicatrici, chiare, indurite. Stratificate immagini sotto pelle. Un deposito che non ha valore ché spinto a sommarsi in maniera incoerente non fa che rendere più poveri, più soli, schiavi dell'immagine, vecchi nelle proprie fotografie, disgustosi nell'apparenza, sempre più lontani dalla realtà, sempre meno conformi alla forma… vera. I miei occhi non sono vetro: stupiti e separati dal corpo impagliato, si dibattono, vorrebbero scucirlo, venirne fuori. Simboli e segni potrebbero spavaldamente evidenziare la bruttezza, separarsi dalla confusione e venire a galla illuminando e muovendo l'originale visione. Ma quella foga diventa ossessione: che non si perda in movimenti inutili e, esaurito ed esausto, non si astragga ancor più, balbettante e poco funzionale, intimo, onanista discorso.
titolo da 'La piel que habito' di Pedro Almodovar
passo iniziale da 'Les yeux sans visage' di Georges Franju, 1959
in immagini sottospecie i Sallusti, le Porcherini