mercoledì 17 aprile 2013

mire

Diciamo che la prendo male, diciamo pure che mi pongo nel modo sbagliato, e, a scanso di equivoci, ammettiamo che nel peggiore dei casi sia io quella errata, se volessimo essere precisi, scomposta e male allineata. Che diavolo vorreste che confessassi ancora? In questo momento manco di concentrazione e non riesco a far mente locale su quanto m'è accaduto negli ultimi mesi, tanto più che, nonostante sia brillantissima a provocare in bella posa, non trovo facile, ora, rendere interessante al mio mirino il soggetto inquadrato. Perde di senso utile, sfoca il fascino e si fa banale come qualsiasi pasto dopo che l'ho avuto là in bella mostra, scoperto, privo della cupola che lo teneva caldo e appetitoso, freddo, morto e nudo per troppo tempo.
Che sia intelligibile ai più era evidente ai più. Anche a me, ovvio, che non considero per nulla disdicevole la cosa, anzi... niente da fare... tutto da immaginare: fusione a freddo di materia calda con pensiero virtuale. Cosa ne produciamo? Un gioco perverso attraverso il quale provare a spiegare cosa manchi, aggrovigliato dentro peggio che un ammasso vorticoso di lombrichi, quelli che rimangono volentieri protetti da una coltre di terra e che non vengono fuori se non al nostro zappettare fastidioso nel tentativo, appunto, di aprire una via di fuga, di incanalare, di affrontare la vita, di sfidare la morte. Lo evito appositamente questo approccio esagitato. Perché scalare quella cima per raggiungere il picco di coscienza? Uno, poi, mica tutti. 
Io scendo invece a far compagnia a quell'essere oscuro che m'allucina e degenera, assume forma espressiva autentica, frutto di una concezione visionaria, allo stesso tempo carne e macchina. I miei sono scatti verso il basso, mi fermo il tempo necessario a giacere, scorrere e strappare - attrarre, coinvolgere, tagliare. Mangio metafora ed allegoria. Ghiotta e parca in egual misura. Assuefatta dal piacere e per nulla viziata dalla forma idolo. Inutile iniziare la campagna disinfestante, non c'è pericolo di stanarlo e, ancor più, debellarlo.
'La gente si lamenta perché i miei romanzi non hanno intreccio. Ma un romanzo picaresco non ha intreccio. È semplicemente una successione di incidenti'.
Ah, alla fine muoio, due volte, centrata in pieno dalla mia disattenzione e dalla sottilissima ironia.

Passo de 'The naked lunch' di William S. Burroughs


11 commenti:

  1. Semplicemente una sequenza di accidenti. La vita, né più né meno.

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  2. io non sto qua a compilare né far compilare il cid :D

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  3. Bello.
    Brava.
    Come sempre.

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  4. quindi c'è una resurrezione in mezzo ?

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  5. più o meno ciò che sta accadendo in Italia oggi… :/ protagonista proprio l'Italia, siamo al capitolo in cui scopre di avere a che fare con una manica di furfanti incalliti, se ci fosse stato bisogno di scriverlo!

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  6. E che non lo so mica se è meglio un cielo nitido o una nebbia fitta...

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