venerdì 25 maggio 2012

fil rouge


Nessun dolore nel mio corpo. Raddrizzandomi, vedevo il mare azzurro e vele.

Drizzo la penna, e butta gemme e foglie, si ricopre di fiori,
spudorato è il profumo di quest'albero,
perché là nel mondo reale
alberi così non crescono, ed è come un affronto
fatto alla gente che soffre il profumo di quest'albero.
C'è chi trova rifugio nella disperazione, dolce
come un tabacco forte, un bicchiere di vodka
bevuto nell'ira della perdita.
Per altri c'è la speranza degli stupidi
rosea come un sogno erotico.

Su un foglio lasciato nel cassetto s'intende sia stato scritto il concetto. Un amaro pensiero, uno scenario attuale. Tratto in avanti, dopo tanti scossoni, non può più tenere quelle poesie, orfane del suo poeta. Povero. Atrocemente perduto dietro la speranza o la sua ombra, il suo nome si ripropone con rinnovata potenza, spazzando via l'oscurità e l'atmosfera nebbiosa di un'epoca e della sua barbarie, liberato dalle catene urticanti della censura e dagli umori pestilenziali di un catenaccio orribile che serra pace e libertà con guerra, razzie, violenza.
Ce l'ho; è mio.
Come quella volta in cui scostando polvere e appunti sparsi urto un gran volume in cima alla pila che veglia sui miei sonni quietando quegli agitati e abietti e sostenendo in volo quelli dolci e coraggiosi. Si schiude di colpo su un volto incorniciato da rocce, tre cime le fanno corona e il sorriso disegna una valle verdissima, immagino, giacché quelli che vedo sono sbiaditi bianchi e neri, uno scatto felice e consunto, tra le pagine consumate da mani curiose e giovani. Il tempo si è fermato, ma ha continuato a incidere nella coscienza di chi a turno legge, ereditando e ripetendo, come in un sacro salmodiare asciutto e senza inutili fronzoli.
Lo ripeto; è mio.

Ti do me stessa
le mie notti insonni
i lunghi sorsi
di cielo e stelle - bevuti
sulle montagne,
la brezza dei mari percorsi
verso albe remote.
Ti do me stessa,
il sole vergine dei miei mattini
su favolose rive
tra superstiti colonne
e ulivi e spighe
...
E tu accogli la mia meraviglia
di creatura,
il mio tremito di stelo
piegato al vento
limpido - della bellezza.

Oh rifammi tu degna di te, poesia che mi guardi.


I versi: quelli iniziali sono del poeta Milosz Czeslaw; quelli finali sono della poetessa Antonia Pozzi

11 commenti:

  1. Che meravigliosi versi, hai scelto per noi. Che dirti, se non Grazie?

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  2. Grazie a te per avermi concesso di condividerli con lo zio sopraffino! :) *

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  3. uhmm, quasi quasi, però, no, perchè siccome mi ha colpito l'immagine, pensavo (ideale per le rughe:) un giorno lo faccio!

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    1. è il classico fil rouge.. :)))) è tutto collegato.. anche se sto immaginando che un po' le sottolinei invece che attenuarle /

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  4. Grazie , come sempre , per questi doni che ci elargisci...

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    1. no, no, stavolta è ricucito bene.. ha lasciato una traccia indelebile e anche se qualcuno lo tagliasse la vedo: potrei zigzagare tanto ma lo ritroverò sempre. Basta lasciarsi andare..

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  6. Un lento, parziale svelamento dell'arcana, sconvolgente bellezza della poesia!

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    1. a dir la verità sembra quasi che non abbia più nulla di arcano, ma tanto, tanto tangibile..

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  7. Ci duole il corpo, duole la memoria.
    Ci scacciano le cose, e la poesia
    è il rifugio che sempre più invidiamo.
    Kostas Kariotakis

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