Già sentivo nell'aere questa diversa visione del mondo e ora la trovo teorizzata, da un ricercatore americano, un certo Richard Louv. Egli sostiene che la mancanza di contatto diretto con la natura può portare nei bambini disturbi dell'attenzione, stress e ansia. Oltre che un totale disinteresse per il mondo.
Siamo troppo protettivi, eccessivamente custodi dell'incolumità infantile, facciamo credere loro che fuori sia tutto cattivo, che l'estraneo sia il nemico e il bambino di oggi è meno indipendente, meno curioso, meno voglioso di esplorare nuovi mondi…
Già riscontravo da un po' questa difficoltà dei bimbi a riconoscere un animale, un fiore e mi rendo conto oggi che più invaderemo la campagna circostante con i nostri palazzi, le nostre strade asfaltate e più impediremo alle nuove generazioni di conoscere la gioia di rotolarsi nei campi d'erba, la frenesia di rincorrere gatti e cani, la sfida a superare di slancio un muretto… del resto io, che ancora rischio ogni giorno quando esco per percorrere a piedi le nostre vie di campagna, mi rendo conto che ormai siamo tutti troppo stressati, affrettati e affettati, ci affanniamo e corriamo per raggiungere una meta (non si capisce più quale sia), per stringere nella mano un trofeo (non si sa per quale gara). Come pretendiamo che i nostri figli imparino i ritmi della natura lontana da quelle sensazioni di ansia e depressione che ci attanagliano? Come pensiamo di guarire noi e loro da questa malattia? Come immaginiamo che loro in futuro possano interessarsi al mondo che li circonda? Come faranno ad avere il tempo e il desiderio di chiedere e di pretendere che si riservino aree non edificabili a spazi verdi e parchi?
Mi trovo in perfetta sintonia con la sua conclusione: Louv parla di sindrome e parla anche di medicina da ricercare nella stessa natura. Nelle sue cosiddette Zoopolis, città del futuro, non ci sarebbe differenza tra elemento urbano e natura, uno scambio di affetto e cura tra l'uomo e l'ecosistema nel quale vive. È un sogno? bè sì! Come sottolinea Slavoj Zizek in un'intervista nel film Avatar è questo che fantastica Cameron: gli aborigeni di Pandora, in nome di una visione olistica del rapporto con la natura, si oppongono al capitalismo e vincono. Ma la natura è un prodotto culturale che cambia con il mutare dei rapporti sociali. L'uomo attinge dalla natura i mezzi per vivere e riprodursi e così trasforma la natura. Tornare a un'età idealizzata è puro fantasy, affascinante, ma pur sempre fantasy!
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