venerdì 30 aprile 2010

a proposito di pecore


Chi più di lui può dirsi visionario e crudele nei confronti della rappresentazione del cattolico, del ricco, del povero? Indifferente e freddo tesse le sue trame come un ragno e sta ad aspettare la reazione dello spettatore, o forse no. È calmo, apre e chiude le sue matrioske, infila le perle nella sua collana, dipinge con cura la sua parete dello stesso colore nero asfalto, è distaccato, serio e comico allo stesso tempo.
E lo spettatore si soffoca, si perde, non trova il bandolo, non ne capisce il senso. Che cattiveria! Ma no, è satira perfida: faccia da schiaffi, impertinente e burlesque e lana nera. Le sue opere che esprimono crisi e incredulità nei confronti del sacro con pretesa di dogma, la violenza infantile ma diabolica del popolo, l'apatia e lo sfoggio antipatico della borghesia, l'assurdo a dosi massicce, o centellinato, quasi strategico per rendere il potente più ridicolo ancora, usando un dialogo affilato e mostruoso…
L'onnipotenza, malattia comune, della quale sono affetti i rappresentanti di vari settori della nostra vita abbatte e distorce i loro ruoli e le loro figure, cosicché diventano personaggi teatrali su un palco, in un folto e surreale girone infernale.
Stride la realtà a contatto con il simbolismo, e l'uomo di chiesa, è veloce e allo stesso tempo infinito, basta che cambi veste perché non venga riconosciuto e messo alla porta. Senza la corazza non siamo nulla, senza la nostra carica diventiamo ridicoli e divertenti. Si consiglia vivamente la visione prima, durante e dopo aver indossato la fascia tricolore.

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